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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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21/01/2009 14:11


Capitolo 17

Continua il racconto del dottore: l'ultimo viaggio del piccolo canotto



Questo quinto viaggio fu totalmente diverso dagli altri.
Innanzitutto il guscio di noce che ci portava era estremamente carico. Cinque uomini
adulti, tre dei quali, Trelawney, Redruth e il capitano alti più di sei piedi, costituivano già
un peso superiore alla sua portata. Aggiungetevi la polvere, il lardo ed i sacchi di pane.
A poppa, l'acqua sfiorava il bordo. A più riprese ne imbarcammo un po' e ancora non
avevamo coperto un centinaio di metri, che già le mie brache e le falde del mio abito ne
erano inzuppate.
Il capitano ci fece sistemare il carico, e riuscimmo ad equilibrare un po' meglio il
canotto. Ciò nonostante osavamo appena respirare.
In secondo luogo, incominciava il riflusso: una forte impetuosa corrente ci spingeva a
ovest attraverso la baia e poi a sud ed al largo per lo stretto che avevamo imboccato il
mattino. Le stesse onde agitate mettevano in pericolo la nostra imbarcazione
sovraccarica; ma il peggio era che noi avevamo deviati dalla nostra rotta e ci eravamo
allontanati dal nostro conveniente punto di approdo dietro il promontorio. Se avessimo
lasciato fare alla corrente, saremmo andati a battere accanto alle imbarcazioni dove i
pirati potevano sorprenderci in ogni istante.
"Non riesco a mantenere la prua sul forte, signore" dissi al capitano.
Io manovravo il timone, mentre lui e Redruth, agili tutti e due, vogavano.
"La marea ci trascina via. Non potrebbe remare un po' più forte?" "Il canotto si
riempirebbe" disse lui. "Lei deve tener duro, signore, se non le rincresce: tener duro
finché non guadagni." Io provai, e vidi concretamente che la corrente ci spingeva a
ovest, finché non misi la prua in pieno est, ossia precisamente ad angolo retto rispetto
alla direzione che dovevamo seguire.
"In questo modo non approderemo mai" osservai.
"Se è questa l'unica rotta che possiamo tenere, non c'è che da tenerla" replicò il
capitano. "Bisogna continuare a risalire la corrente. Vede, signore, se per caso ci
lasciamo portare sottovento al punto di approdo, è difficile dire dove prenderemo terra,
oltre al rischio di essere attaccati dalle imbarcazioni; mentre sulla rotta che noi
seguiamo la corrente dovrà diminuire, e allora potremo svignarcela ritornando indietro
lungo la costa." "La corrente è già diminuita, signore" disse il marinaio Gray che stava
a prua. "Lei può allentare un po'." "Grazie, ragazzo mio" risposi, come se niente fra di
noi fosse accaduto; poiché ci si era tacitamente intesi di trattarlo come uno dei nostri.
D'improvviso il capitano ruppe di nuovo il silenzio, e mi parve che la sua voce fosse
sensibilmente alterata.
"Il cannone!" pronunciò.
"Ci ho pensato" dissi io, sicuro come ero che egli alludesse a un bombardamento del
forte. "Ma non potranno mai sbarcare il cannone, e se anche vi riuscissero, sarebbero
poi incapaci di alarlo attraverso la boscaglia." "Guardi indietro, dottore" replicò il
capitano.
Noi avevamo completamente dimenticato il cannone; e là, con un fremito di orrore,
vedemmo i cinque banditi intenti a levargli la sua casacca, com'essi chiamavano il
guscio di grossa tela incerata che in navigazione ricopriva il pezzo. E, quasi non
bastasse, improvvisamente mi balenò in mente che palle e polvere da cannone erano
rimaste a bordo, e un solo colpo d'ascia avrebbe messo ogni cosa nelle mani di quegli
sciagurati.
"Israel era il cannoniere di Flint" disse Gray con voce rauca.
Sfidando ogni pericolo ci dirigemmo verso il punto di approdo. Ci eravamo intanto
portati sufficientemente fuori del grosso della corrente per poter governare, sia pure
procedendo con l'andatura necessariamente lenta dei remi, ed io riuscii a mantenere la
prua sulla mèta. Ma il peggio era che, data la rotta che ora seguivo, presentavamo
all'"Hispaniola" il fianco invece della prua, offrendole un bersaglio largo quanto una
porta di granaio.
Io potei non solo scorgere ma udire quel brutto birbante di Israel Hands gettare sul
ponte un proiettile.
"Chi di voi due è il miglior tiratore?" chiese il capitano.
"Il signor Trelawney senza dubbio" dissi io.
"Signor Trelawney, vuol avere la cortesia di togliermi di mezzo uno di quegli uomini?
Hands possibilmente?" fece il capitano.
Trelawney, con la freddezza d'un automa, verificò l'esca del suo fucile.
"Ora" avvertì il capitano "piano con quel fucile, se no, riempiremo il canotto. E noi,
attenti a mantener l'equilibrio mentre lui spara." Il cavaliere spianò il fucile, i remi
restarono sospesi, e noi ci portammo dall'altro bordo per mantener l'equilibrio. Tutto
riuscì così egregiamente che non imbarcammo una goccia d'acqua.
Frattanto essi avevano fatto girare il cannone sul suo perno, e Hands, che stava vicino
alla bocca con in mano lo spazzatoio, era di conseguenza il più esposto. Ma la fortuna
non ci fu amica, perché egli si chinò nel preciso momento in cui Trelawney lasciava
partire il colpo. La palla gli fischiò sopra la testa, e fu uno degli altri quattro che cadde.
Al grido del colpito fecero eco non soltanto i suoi compagni di bordo, ma una
moltitudine di voci dalla spiaggia, e guardando in quella direzione io vidi gli altri pirati
sbucare dalla boscaglia e precipitarsi a prender posto nelle imbarcazioni.
"Ecco i canotti che arrivano" dissi io.
"Allora via!" gridò il capitano. "Non importa se imbarchiamo acqua. Prendere terra,
bisogna: se no, è finita." "Una sola delle imbarcazioni è equipaggiata, signore"
aggiunsi.
"La ciurma dell'altra sta certamente facendo il giro della spiaggia per tagliarci la
strada." "Faranno una bella sudata!" replicò il capitano. "Marinai a terra, si sa cosa
valgono. Non sono loro che mi preoccupano: è la palla del cannone. Un gioco da
salotto! Un ragazzo che è un ragazzo non sbaglierebbe. Mi avverta, cavaliere, appena
vede che stanno per far fuoco, che agguanteremo." Frattanto avevamo avanzato
abbastanza velocemente per un canotto così sovraccarico, e avevamo imbarcato ben
poca acqua. Eravamo ormai vicini alla spiaggia: ancora trenta o quaranta colpi di remo,
e l'avremmo toccata, poiché il riflusso già aveva scoperto una sottile lingua di sabbia ai
piedi della macchia.
L'imbarcazione non era più da temere: il piccolo promontorio l'aveva già nascosta ai
nostri occhi. La marea che ci aveva così rudemente inceppati prima, ora ci
compensava trattenendo i nostri avversari. L'unico pericolo rimaneva il cannone.
"Se io osassi" disse il capitano "fermerei per far saltare un altro uomo." Ma era chiaro
che a bordo dell'"Hispaniola" non pensavano affatto a differire il colpo. Essi non
avevano nemmeno degnato di uno sguardo il loro camerata caduto, che tuttavia non
era morto e si sforzava di trascinarsi via di là.
"Attenti!" gridò il cavaliere.
"Agguanta!" comandò il capitano, pronto come un'eco.
E lui e Redruth sciarono con una tale violenza che la poppa andò interamente
sommersa. Il colpo scoppiò nel medesimo istante. E fu questo il primo sentito da Jim,
giacché la fucilata del cavaliere non era arrivata al suo orecchio. Dove passò il
proiettile nessuno di noi seppe con precisione: ma io credo che fu sopra le nostre teste,
e lo spostamento d'aria contribuì al nostro disastro.
Comunque sia, il canotto affondò per la poppa piano piano in tre piedi d'acqua,
lasciando me e il capitano in piedi, faccia a faccia. Gli altri tre presero un bagno
completo e tornarono a galla inzuppati e borbottando.
Fin qui, poco male. Nessuna vittima tra noi, e potevamo con sicurezza guadagnare la
riva a guado. Ma tutte le nostre provviste erano in fondo al mare, e per colmo di
sciagura dei cinque fucili solo due rimanevano utilizzabili. Il mio, che tenevo sulle
ginocchia, l'avevo abbrancato e portato in alto con una mossa istintiva. Il capitano
portava il suo sul dorso a bandoliera, e, per prudenza, col calcio in alto. I tre rimanenti
erano affondati col canotto.
La nostra inquietudine crebbe udendo voci che, attraverso gli alberi della spiaggia, si
venivano accentuando. Non solo ci impensieriva il pericolo di essere tagliati fuori dal
fortino, mezzo impotenti com'eravamo; ma il timore ancora che Hunter e Joyce,
attaccati da quella mezza dozzina di nemici, non avessero l'animo e la capacita di
resistere. Hunter lo sapevamo bene ch'era un uomo risoluto, ma di Joyce non eravamo
altrettanto sicuri: egli era certo un piacevole e garbato domestico, maestro nell'arte di
spazzolare abiti, ma non ugualmente adatto a servire il dio della guerra.
Assediati da simili pensieri raggiungemmo il più presto possibile la riva, lasciando alle
nostre spalle l'infelice piccolo canotto e una buona metà delle nostre polveri e
provviste.




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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