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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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21/01/2009 19:33


Capitolo 23

La marea discende



La piroga, com'ebbi modo di constatare prima di lasciarla, era un'imbarcazione molto
sicura per una persona della mia statura e peso, leggera e adatta a tenere il mare: ma,
così stramba e sbilenca, era pure il più difficile scafo da governare. In qualunque
maniera la si prendesse, andava sempre alla deriva, e la miglior manovra che sapesse
fare era girare in tondo. Lo stesso Ben Gunn aveva ammesso che era "dura da
maneggiare finché non si conoscevano i suoi modi".
Io certamente non conoscevo i suoi modi. Si girava verso tutte le direzioni fuorché
verso quella quella dove mi premeva andare: la maggior parte del tempo avanzavamo
di traverso, e se non fosse stato per il rincalzo della marea, sono sicurissimo che non
avrei mai abbordato la nave. Per fortuna, mentre pagaiavo alla meglio, la marea
seguitava a sospingermi avanti, e l'"Hispaniola" stava giusto sulla mia rotta,
difficilmente mi sarebbe sfuggita.
Da principio mi si parò davanti come una macchia di qualcosa più nero ancora delle
tenebre, poi alberi e scafo presero forma, e subito dopo, siccome più avanzavo e più la
corrente della marea rinforzava, mi trovai vicino alla gòmena, e l'afferrai.
La gòmena era tesa come la corda di un arco, tanto la nave tirava su l'àncora.
Tutt'intorno allo scafo, nel buio, la maretta della corrente sobbolliva e gorgogliava come
un piccolo torrente montano. Un colpo del mio coltellaccio, e l'"Hispaniola" se ne
sarebbe andata mormorando con la marea. Graziosissima prospettiva.
Ma mi ricordai in tempo che il taglio improvviso d'una gòmena tesa è non meno
pericoloso di un cavallo che spara calci. Fossi stato così temerario da tagliare il cavo
che legava l'"Hispaniola" all'àncora, c'erano dieci probabilità contro una che io e la
piroga insieme saremmo stati sbalzati in aria.
Questa riflessione mi trattenne; e se il caso non mi avesse favorito in modo speciale,
avrei dovuto abbandonare il mio disegno. Ma la leggera brezza che aveva cominciato a
soffiare da sud-est e sud, si era, col cadere della notte, girata verso sud- ovest. Mentre
appunto stavo meditando, arrivò una folata, investì l'"Hispaniola", e la sospinse contro
corrente; e, con mia grande gioia, sentii la gòmena allentarsi nel mio pugno, e la mano
con la quale la tenevo tuffarsi per un secondo nell'acqua.
Ciò mi decise; tirai fuori il coltellaccio, l'aprii coi denti, e tagliai i cordoni del cavo finché
non me ne rimasero che due o tre a trattenere il bastimento. Dopo di che rimasi
tranquillo, aspettando di tagliare gli ultimi quando la loro tensione fosse un'altra volta
diminuita in seguito a un soffio di vento.
Durante tutto questo tempo un brusìo dalla cabina era giunto al mio orecchio; ma, a
dire il vero, la mia mente era talmente presa da altro, che non vi avevo troppo fatto
caso. Adesso però, che non avevo più niente da fare, cominciai a prestarvi maggiore
attenzione.
Riconobbi una voce come quella del quartiermastro Israel Hands, già cannoniere di
Flint; l'altra era naturalmente la voce dell'amico mio dal berretto rosso. Tutti e due
erano ubriachi fradici, eppure trincavano ancora, poiché, mentre io tendevo l'orecchio,
uno di essi con un'imprecazione aprì la finestra di poppa e buttò via qualche cosa che
indovinai essere una bottiglia vuota. Ma essi non erano solo brilli; si capiva che erano
anche furiosamente arrabbiati. Le bestemmie volavano come grandine, e di tanto in
tanto culminavano in una tale esplosione che pareva non potesse finire se non in una
zuffa. Ma ogni volta la contesa si placava e il tono delle voci si abbassava, finché
un'altra crisi non sopraggiungeva per passare allo stesso modo, senza alcun risultato.
A terra io potevo vedere il chiarore del grande fuoco dell'accampamento che bruciava
tra gli alberi della riva. Qualcuno andava cantando una vecchia triste e uggiosa
canzone marinaresca, con un languido tremolare alla fine di ogni strofa, che pareva
non dovesse aver termine se non con la pazienza del cantore. Più d'una volta durante
il viaggio io l'avevo sentita, e ricordavo queste parole:
Un solo della ciurma restò in vita Che numerosa era sul mare uscita.
E pensai che era un ritornello troppo lugubremente appropriato a una brigata che il
mattino aveva incontrato così crudeli perdite.
Ma, in verità, a quanto vedevo, tutti questi scellerati erano altrettanto insensibili quanto
il mare su cui navigavano.
Finalmente la brezza arrivò; la goletta si spostò nell'oscurità, e mi si portò più vicina; io
sentii la gòmena mollare un'altra volta, e con un rude sforzo troncai le ultime fibre.
La brezza non ebbe che una debole azione sulla mia piroga, ed io fui quasi
istantaneamente proiettato contro la prua dell'"Hispaniola". Nello stesso tempo la
goletta prese lentamente a girare sul suo calcagnòlo in mezzo alla corrente.
Io mi agitavo come un demonio aspettandomi di dover affogare da un momento
all'altro, e quando mi fui accorto che non mi era possibile distaccare con un colpo la
piroga, mi portai dritto verso poppa. Finalmente libero da quella pericolosa vicinanza, e
giusto mentre stavo dando l'ultima spinta, le mie mani si scontrarono con una funicella
che penzolava fuori bordo dal cassero di poppa. Immediatamente l'afferrai.
Perché avessi fatto ciò, non saprei dire. Fu dapprima un atto istintivo: ma non appena
ebbi in pugno la corda e la sentii salda, la curiosità prese il sopravvento, e decisi di
gettare un'occhiata dalla finestra della cabina.
A forza di braccia tirai a me la corda, e quando mi ritenni abbastanza vicino, mi alzai
con mio grande rischio quasi in piedi sulla piroga, e potei scoprire il soffitto e parte
dell'interno della cabina.
Intanto la goletta e la sua piccola seguace scivolavano velocemente sull'acqua: difatti
eravamo già arrivati all'altezza del fuoco dell'accampamento. Il bastimento
chiacchierava, come dicono i marinai, abbastanza forte, rompendo con un incessante
sobbollimento di spuma le innumerevoli increspature del mare; e finché io non gettai
l'occhio al disopra del davanzale della finestra, non potei comprendere come mai i
guardiani non avessero dato l'allarme. Uno sguardo peraltro fu sufficiente; e fu il solo
che osai lanciare da quell'instabile scafo. Esso mi mostrò Hands e il suo compagno
stretti in una lotta mortale, ognuno con la mano sulla gola dell'altro.
Io mi lasciai ricadere sul banco e giusto in tempo, perché ero quasi fuori bordo. Per un
momento non vidi altro che quelle due facce scarlatte di furore, ondeggianti sotto la
lampada fumosa; e chiusi le palpebre per dare modo ai miei occhi di riabituarsi alle
tenebre.
L'eterna canzone si era infine zittita, e intorno al fuoco dell'accampamento la decimata
banda aveva intonato il coro che così spesso io avevo udito:
"Quindici sulla cassa del morto, Yò, hò-hò, e una bottiglia di rum!
Satana agli altri non ha fatto torto, Con la bevanda li ha spediti in porto.
Yo, hò-hò, e una bottiglia di rum!" Io stavo pensando all'opera che in quel preciso
momento bevanda e diavolo compivano nella cabina dell'"Hispaniola", quando fui
sorpreso da un improvviso rullìo della piroga. Nel medesimo istante essa si torse
violentemente e sembrò cambiare rotta. La sua velocità era intanto stranamente
aumentata.
Spalancai gli occhi. Tutt'intorno a me ila mare bolliva con piccole irte creste ronzanti e
fosforescenti. La stessa "Hispaniola" nel cui solco, a distanza di pochi metri, io fuggivo
aggirato, pareva esitare sulla direzione da prendere, ed io vidi i suoi alberi tentennare
contro l'oscurità della notte; poi, guardando meglio, mi accertai che anch'essa virava
verso il sud.
Gettai un'occhiata obliqua al disopra delle mie spalle, e il mio cuore sussultò. Là,
proprio dietro a me, c'era il chiarore del fuoco dell'accampamento. La corrente si era
piegata ad angolo retto, trascinando con sé l'alta mole della goletta; e la minuscola
saltellante piroga, sempre accelerando la sua corsa e con più acuto stridere e
borbottare di acqua, filava per lo stretto verso il mare aperto.
D'improvviso la nave virò violentemente, deviando di forse una ventina di gradi. Quasi
nello stesso momento due urli si susseguirono a bordo, ed io sentii un calpestìo di
passi su per la scala del corridoio, e compresi che i due beoni erano infine stati
interrotti nella loro contesa e richiamati al senso dell'imminente disastro.
Io mi coricai supino nel fondo di quel disgraziato scafo e devotamente raccomandai la
mia anima al Creatore. Ero sicuro che all'uscita dallo stretto saremmo andati a sbattere
contro i furiosi frangenti di qualche scogliera dove tutti i miei affanni avrebbero trovato
immediata fine; e sebbene fossi abbastanza forte da sopportare la morte, mal
sopportavo la visione dell'avvicinarsi del mio destino.
Credo di aver continuato a rimanere in tale stato per ore, continuamente sbalzato qua
e là dai marosi e inzuppato dai loro spruzzi; e sempre aspettando, a un prossimo tuffo,
la morte. A poco a poco la stanchezza mi vinse; un torpore, un passeggero stupore
occuparono, pure in mezzo ai miei terrori, il mio spirito; finché il sonno mi prese, ed io,
giacendo nella mia piroga sballottata dai flutti, sognai la mia casa e il mio vecchio
"Ammiraglio Benbow".




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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