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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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21/01/2009 19:37


Capitolo 25

Ammaino il Jolly Roger



Mi ero appena installato sul bompresso, che il flocco volante si riscosse e si riempì di
vento cambiando murata, col rumore di una schioppettata. Sotto l'urto la goletta tremò
fino alla chiglia, ma di lì a poco, continuando le altre vele a portare, il fiocco tornò a
svolazzare, e poi ricadde ozioso.
Poco mancò che lo scossone non mi gettasse in mare. Senza perdere tempo strisciai
lungo il bompresso e piombai, testa in avanti, sul ponte.
Ero sottovento al cassero di prua, e la randa maestra, che portava sempre, mi
nascondeva una parte della coperta di poppa. Non si vedeva anima viva. Il tavolato,
non più scopato dopo la rivolta, portava l'impronta di molte pedate; e una bottiglia
vuota, col collo rotto, rotolava di qua e di là per gli ombrinali come una cosa viva.
D'improvviso l'"Hispaniola" prese il vento in pieno. I fiocchi alle mie spalle strepitarono
forte, la barra del timone si abbatté, l'intera nave ebbe un doloroso sussulto; nello
stesso istante la verga di randa rientrò dentro il bordo, e la vela, stridendo nei bozzelli,
mi permise di vedere la parte della coperta di poppa.
Le due guardie erano là: Berretto Rosso supino, rigido come una stanga, con le
braccia spalancate come quelle d'un crocifisso, le labbra semichiuse che scoprivano i
denti; Israel Hands appoggiato contro il bastingaggio, il mento sul petto, le palme delle
mani aperte davanti a sé, e la faccia, sotto la tinta bronzea, scialba come una candela
di sego.
Per un momento la nave si contorse andando storta come un cavallo vizioso, mentre le
vele prendevano il vento ora da un bordo ora dall'altro, e la verga di randa, balzando di
qua e di là, faceva, sotto lo sforzo, lamentare l'albero. Di tanto in tanto una nuvola di
spruzzi saltava al disopra del bastingaggio e la prua cozzava violentemente contro un
maroso; il grande e bene attrezzato veliero navigava assai peggio della rustica e
bistorta piroga ormai seppellita in fondo al mare.
A ogni sobbalzo della goletta Berretto Rosso scivolava da una banda all'altra: ma, cosa
oscena a vedere, né il suo atteggiamento, né la smorfia che gli metteva in luce i denti,
erano modificati da questi bruschi spostamenti. A ogni sobbalzo pure Hands lo si
vedeva ripiegarsi su se stesso e abbioccarsi sulla coperta come un sacco vuoto; i suoi
piedi sdrucciolavano sempre più lontani, e tutto il corpo s'inclinava verso poppa,
cosicché il suo viso a poco a poco mi fu nascosto, e alla fine non emerse più che un
orecchio e la punta di un baffo.
In quell'istante mi accorsi di macchie di sangue annerito sul tavolato intorno a loro, il
che mi fece pensare che nel furore dell'ubriachezza i due si fossero massacrati.
Stavo così guardando e meravigliandomi, quando, in un momento di calma in cui il
bastimento smise di rullare, Israel Hands si girò a metà verso di me, e torcendosi con
un fioco gemito riprese la posa nella quale lo avevo trovato prima. Quel gemito che
tradiva una pena e una debolezza mortali, e il modo come quella mascella aperta
pendeva, mi andarono diritti al cuore. Ma ricordandomi il discorso che avevo sentito dal
barile di mele, ogni pietà venne meno.
Avanzai verso poppa fino all'albero di maestra.
"Venite a bordo, signor Hands" dissi ironicamente.
Egli girò a fatica i suoi occhi: ma era troppo abbrutito per esprimere sorpresa. Tutto
quanto poté fare fu di dire una parola:
"Acquavite." Io riflettei che non c'era tempo da perdere, e spostando la verga di randa
che di nuovo dondolava di traverso alla coperta, scappai a poppa e per la scala del
cassero discesi nella cabina.
Era una scena di disordine difficilmente immaginabile. Tutti i cassetti chiusi a chiave
erano stati scassinati per cercare la carta. Sul pavimento, due dita di mota, dove i
banditi s'erano sdraiati a cioncare e consultarsi dopo essersi impantanati nello stagno
che contornava il loro campo. Le paratie, tutte dipinte in bianco-argento e fregiate di
dorature tutt'intorno, avevano impronte di mani sporche. Dozzine di bottiglie vuote
tintinnavano insieme, urtandosi negli angoli al rullìo della nave. Uno dei libri di medicina
del dottore stava aperto sulla tavola con metà delle pagine strappate, probabilmente
per accendere la pipa. In mezzo a tutto ciò la lucerna diffondeva ancora una luce
fumosa e rossastra, come terra d'ombra.
Passai nella cantina. Le botti erano sparite e la maggior parte delle bottiglie erano state
bevute e buttate via. Dall'inizio dell'ammutinamento nessun di loro certamente aveva
smesso di bere e di ubriacarsi.
Rovistando qua e là trovai una bottiglia con un resto d'acquavite per Hands; e per me
afferrai alcuni biscotti, un po' di frutta in conserva, un grosso grappolo d'uva, e un
pezzo di formaggio. Con questa roba risalii in coperta; deposi la mia provvista dietro la
testa del timone, e tenendomi a doverosa distanza dal quartiermastro, raggiunsi a prua
la cassa d'acqua, dove con una buona interminabile sorsata spensi la mia sete; e
allora, ma solamente allora, porsi a Hands l'acquavite.
Credo ne bevesse un quarto di litro prima di decidersi a staccar la bottiglia dal muso.
"Ah" disse "un po' di questa ci voleva, per mille diavoli!" Io, seduto nel mio angoletto,
avevo già cominciato a mangiare.
"Molto ferito?" gli chiesi.
Egli grugnì, o piuttosto latrò:
"Se quel dottore fosse a bordo, un paio di volte che mi visitasse mi rimetterebbe in
piedi, ma non ho fortuna io, vedi, ed è questo che mi secca. Quanto a quella ramazza,
è bell'e andata" aggiunse indicando l'uomo dal berretto rosso. "Non è mai stato un
marinaio, del resto. Ma da dove sei saltato fuori, tu?" "Sono venuto a bordo per
prendere possesso di questa nave, signor Hands; e fino a nuovo ordine siete pregato
di considerarmi come vostro capitano." Mi guardò stizzito, ma non articolò sillaba. Sulle
sue guance era tornato un po' di colore, benché apparisse ancora molto sfinito e
continuasse a scivolare e ricadere a secondo delle scosse del bastimento.
"A proposito" continuai io "non posso battere questa bandiera, signor Hands, e con
vostra licenza l'abbasserò. Meglio nessuna che questa." E, spostando un'altra volta la
verga di randa, corsi alla drizza della bandiera, ammainai quella maledetta insegna, e
la scagliai in mare.
"Dio salvi il Re!" esclamai agitando il mio berretto. "E' finita col capitano Silver!" Egli mi
osservava acuto e furtivo senza levare il mento dal petto.
"Io suppongo" disse infine "io suppongo, capitano Hawkins, che tu avrai voglia di
approdare, ora. Vogliamo discutere?" "Ma sì, con tutto il cuore, signor Hands. Dite
pure." E mi rimisi a mangiare di buon appetito.
"Quest'uomo" cominciò egli con un debole cenno del capo verso il cadavere, O'Brien si
chiamava, un bestione d'irlandese, quest'uomo ed io avevamo messo alla vela con
l'intenzione di ricondurre il bastimento all'ancoraggio. Ebbene, adesso lui è morto,
morto come la sentina, e io non vedo chi sarà capace di manovrare questo bastimento,
non vedo. Se non ti do qualche consiglio non te la cavi, questo è quanto io posso dire.
Ora, ascoltami: tu mi darai da bere e da mangiare, e una vecchia sciarpa per fasciarmi
la ferita, mi darai; e io ti dirò come manovrare. Mi sembra che la proposta quadri, no?"
"Dovete sapere una cosa" dissi io "ed è che io non intendo ritornare all'ancoraggio del
capitano Kidd. Io conto di andare nella baia del Nord e arenarmi là tranquillamente."
"Me l'aspettavo" gridò lui. "E dunque tu vedi che non sono poi un così perfetto idiota,
dopo tutto. Le cose le conosco anch'io, no?
Ho tentato il mio colpo, ho tentato; e ho perduto, e sei tu adesso che hai il sopravvento
su me. La baia del Nord? E sia. Non ho possibilità di scelta, io. Vorrei piuttosto aiutarti
a portarci alla Riva delle Forche, questo sì, per Satanasso!" La proposta mi parve
abbastanza sensata. Concludemmo senz'altro il patto. Tre minuti dopo, l'"Hispaniola"
filava spedita col vento in poppa lungo la costa dell'Isola del Tesoro, con buona
speranza di doppiare prima di mezzogiorno l'estrema punta settentrionale ed entrare
nella baia prima dell'alta marea, per poter arenare in salvo e aspettare che la bassa
marea ci permettesse di sbarcare.
Legai allora la barra del timone e scesi dabbasso a prendere nel mio baule uno dei
fazzoletti di seta fina, regalo di mia madre.
Col quale, e col mio aiuto, Hands poté bendare la larga sanguinante ferita della
pugnalata ricevuta sulla coscia; e dopo che ebbe mangiato e tracannato ancora uno o
due sorsi di acquavite, cominciò a visibilmente a risollevarsi, si tenne meglio dritto,
parlò più forte e più chiaro, e sembrò completamente un altro uomo.
La brezza ci favoriva magnificamente. Procedevamo davanti a lei con la leggerezza di
un uccello. La costa fuggiva come il lampo, e la scena cambiava ogni momento. Presto
oltrepassammo i luoghi montuosi, volammo lungo una regione piatta e sabbiosa
sporadicamente picchiettata di pini nani, e superata anche quella girammo lo sprone
della collina rocciosa che chiude l'isola a nord.
Io ero molto fiero del mio nuovo posto di comando, e mi godevo il tempo chiaro e
luminoso, e i vari aspetti della costa. Possedevo acqua in abbondanza, e buone cose
da mangiare, e la mia coscienza, che già mi aveva duramente rimorso per la mia
diserzione, si acquietava ora nella grande conquista che ero riuscito a fare.
Nulla mi sarebbe più rimasto da desiderare se non ci fossero stati gli occhi del
quartiermastro che mi seguivano beffardi per tutto il ponte, ed il sinistro sorriso che di
continuo affiorava sulle sue labbra. Era un sorriso fatto di sofferenza e debolezza
insieme, un sorriso di vecchio disfatto: ma c'era pure, oltre a ciò, una punta di scherno,
un'ombra di perfidia, nella sua espressione, mentre egli scaltramente mi spiava e
spiava e spiava seguendo il mio lavoro.




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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