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Pioggia di Vita, per chi crede e per chi non crede

Ultimo Aggiornamento: 11/01/2013 11:23
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02/06/2008 08:14

Nona settimana del Tempo Ordinario - Lunedì


Lettura:

Dai « Discorsi spirituali » di san Doroteo, abate


La ragione di ogni turbamento
è che nessuno accusa se stesso


Cerchiamo, fratelli, di vedere da che cosa soprattutto derivi il fatto che quando qualcuno ha sentito una parola molesta, spesso se ne va senza alcuna reazione, come se non l'avesse udita, mentre talvolta appena l'ha sentita si turba e si affligge.
Qual è, mi domando, la causa di questa differenza? Questo fatto ha una sola o più spiegazioni? Io mi rendo conto che vi sono molte spiegazioni e motivi, ma ve n'è una che sta avanti alle altre e che genera tutte le altre, secondo quanto disse un tale: Questo deriva dalla particolare condizione in cui talora qualcuno viene a trovarsi.
Chi infatti si trova in preghiera o in contemplazione, facilmente sopporta il fratello che lo insulta, e rimane imperturbato. Talvolta questo avviene per il troppo affetto da cui qualcuno è animato verso qualche fratello. Per questo affetto egli sopporta da lui ogni cosa con molta pazienza.
Questo può inoltre derivare dal disprezzo. Quando uno disprezza o schernisce chi abbia voluto irritarlo, disdegna di guardarlo o di rivolgergli la parola o di accennare, parlando con qualcuno, ai suoi insulti e alle sue maldicenze, considerandolo come il più vile di tutti.
Da tutto questo può derivare il fatto, come ho detto, che qualcuno non si turbi, né si affligga se disprezzato o non prenda in considerazione le cose che gli vengono dette. Accade invece che qualcuno si turbi e si affligga per le parole di un fratello allorquando si trova in una condizione molto critica o quando odia quel fratello. Vi sono tuttavia anche molte altre cause di questo stesso fenomeno che vengono diversamente presentate. Ma la ragione prima di ogni turbamento, se facciamo una diligente indagine, la si trova nel fatto che nessuno incolpa se stesso. Da qui scaturisce ogni cruccio e travaglio, qui sta la ragione per cui non abbiamo mai un po' di pace; né ci dobbiamo meravigliare, poiché abbiamo appreso da santi uomini che non esiste per noi altra strada all'infuori di questa per giungere alla tranquillità. Che le cose stiano proprio così lo costatiamo in moltissimi casi. E noi, inoperosi e amanti della tranquillità, ci illudiamo e crediamo di aver intrapresa la via giusta allorché in tutte le cose siamo insofferenti, non accettando mai di incolpare noi stessi.
Così stanno le cose. Per quante virtù possegga l'uomo, fossero pure innumerevoli e infinite, se si allontana da questa strada, non avrà mai pace, ma sarà sempre afflitto o affliggerà gli altri, e si affaticherà invano.


Responsorio:

Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi. Se confessiamo il nostro peccato, Dio, fedele e giusto ci perdona.
Chi nasconde le proprie colpe non avrà successo.
Se confessiamo il nostro peccato, Dio, fedele e giusto ci perdona.


Orazione:

O Dio, che nella tua provvidenza tutto disponi secondo il tuo disegno di salvezza, allontana da noi ogni male e dona ciò che giova al nostro vero bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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03/06/2008 07:03

Nona settimana del Tempo Ordinario - Martedì


Lettura:

Dai « Discorsi » di san Doroteo, abate


La falsa pace dello spirito


Chi incolpa se stesso, accoglie tutto serenamente quando incorre in qualunque contrarietà, danno, maldicenza, oltraggio o altra afflizione: di tutto egli si ritiene meritevole, né può in alcun modo essere turbato. Che cosa vi è di più tranquillo di quest'uomo?
Forse qualcuno mi obietterà: « Se un fratello mi affligge ed esaminandomi non trovassi di avergli data alcuna occasione, perché dovrei accusare me stesso? ». Intanto è certo che se qualcuno con timore di Dio si esaminasse diligentemente, non si troverebbe mai del tutto innocente e scoprirebbe che o con l'azione o con la parola o con l'atteggiamento ha dato qualche occasione. Che se poi in nessuno di questi casi si scoprisse colpevole, certamente in un altro momento avrà trattato duramente quel fratello o in qualche questione vecchia o nuova, oppure ha forse recato danno a qualche altro fratello. Perciò per questo meritatamente soffre, oppure soffre per altri innumerevoli peccati che ha commesso in altro tempo.
Un altro chiede perché dovrebbe incolparsi quando, standosene in tutta tranquillità e pace, viene insultato dal fratello che sopraggiunge con qualche parola offensiva e infamante e, non potendola sopportare, si ritiene in diritto di adirarsi e di protestare. Poiché se quello non fosse giunto e non avesse parlato e non avesse dato fastidio, egli non avrebbe peccato.
La scusa è certamente ridicola e non poggia su un ragionevole fondamento. Non è stato certamente per il fatto che gli sia stata detta qualche parola che è ribollita in lui la passione dell'ira, ma piuttosto quelle parole hanno svelato la passione che già si portava dentro. Perciò, se ha buona volontà, avrà ottime ragioni per fare penitenza. Egli è simile alla segala chiara e splendente che rivela le sue scorie solo quando viene macinata. Così colui che siede tranquillo e pacifico, come egli pensa, possiede all'interno una passione che non vede. Sopraggiunge il fratello, dice qualche parola pungente, e subito tutto il fondo deteriore, che si nascondeva dentro, è vomitato fuori. Perciò se vuole ottenere misericordia, faccia penitenza, si purifichi, cerchi di migliorare, e vedrà che a quel fratello invece che un oltraggio doveva piuttosto rivolgere un ringraziamento essendo stato messo da lui in un'occasione di progresso spirituale. Se così avesse fatto, in seguito non avrebbe più sperimentato la stessa suscettibilità. E' certo comunque che quanto più progredirà e tanto più facilmente affronterà simili prove. In verità quanto più l'anima avanza nella virtù tanto più diventa forte ed energica nel sopportare qualunque cosa gravosa possa accaderle.


Responsorio: (Cfr. Gb 9, 2. 14; 15, 15)

In verità, un uomo non può aver ragione innanzi a Dio. Chi sono io per rispondergli, e trovare parole da dirgli?
Ecco, neppure i suoi santi sono perfetti, e i cieli non sono puri ai suoi occhi.
Chi sono io per rispondergli, e trovare parole da dirgli?


Orazione:

O Dio, che nella tua provvidenza tutto disponi secondo il tuo disegno di salvezza, allontana da noi ogni male e dona ciò che giova al nostro vero bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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04/06/2008 08:41

Nona settimana del Tempo Ordinario - Mercoledì


Lettura:

Dal « Commento al libro di Giobbe » di san Gregorio Magno, papa


La vera scienza rifugge dalla superbia


« Ascolta, Giobbe, i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l'orecchio » (Gb 33, 1). L'insegnamento delle persone arroganti ha questo di proprio, che esse non sanno esporre con umiltà quello che insegnano, e anche le cose giuste che conoscono, non riescono a comunicarle rettamente. Quando insegnano danno l'impressione di ritenersi molto in alto e di guardare di là assai in basso verso gli ascoltatori, ai quali sembra vogliano far giungere non tanto dei consigli, quanto dei comandi imperiosi.
Ben a ragione, dunque, il Signore dice a costoro per bocca del profeta: « Li avete guidati con crudeltà e violenza » (Ez 34, 4). Comandano con durezza e violenza coloro che si danno premura non di correggere i loro sudditi, ragionando serenamente, ma di piegarli con imposizioni e ordini perentori.
Invece la vera scienza fugge di proposito con tanta più sollecitudine il vizio dell'orgoglio, quanto più energicamente perseguita con le frecciate delle sue parole lo stesso maestro della superbia. La vera scienza si guarda dal rendere omaggio con l'alterigia della vita a colui che vuole scacciare con i sacri discorsi dai cuori degli ascoltatori. Al contrario con le parole e con la vita si sforza d'inculcare l'umiltà, che è la maestra e la madre di tutte le virtù, e la predica ai discepoli della verità più con l'esempio che con le parole.
Perciò Paolo, rivolgendosi ai Tessalonicesi, quasi dimenticando la grandezza della sua dignità di apostolo, dice: « Ci siamo fatti bambini in mezzo a voi » (1 Ts 2, 7 volg.). Così l'apostolo Pietro raccomanda: « Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi » e ammonisce che nell'insegnare vanno osservate certe regole, e soggiunge: « Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, e con una retta coscienza » (1 Pt 3, 15-16).
Quando poi Paolo dice al suo discepolo: « Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità » (Tt 2, 15), non chiede un atteggiamento autoritario, ma piuttosto l'autorità della vita vissuta. Si insegna infatti con autorità, quando prima si fa e poi si dice. Si sottrae credibilità all'insegnamento, quando la coscienza impaccia la lingua. Perciò è assai raccomandabile la santità della vita che accredita veramente chi parla molto più dell'elevatezza del discorso. Anche del Signore è scritto: « Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi » (Mt 7, 29). Egli solo parlò con vera autorità in modo tanto singolare ed eminente, perché non commise mai, per debolezza, nessuna azione malvagia. Ebbe dalla potenza della divinità ciò che diede a noi attraverso l'innocenza della sua umanità.



Responsorio: (Cfr. 1 Pt 5, 5; Mt 11, 29)

Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri: Dio resiste ai superbi, ma agli umili dà grazia.
Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime.
Dio resiste ai superbi, ma agli umili dà grazia.


Orazione:

O Dio, nostra salvezza, che ci hai fatto figli della luce, guidaci nel nostro cammino, perché diventiamo operatori di verità e testimoni del tuo Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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05/06/2008 06:47

Nona settimana del Tempo Ordinario - Giovedì


Lettura:

Dal « Commento al libro di Giobbe » di san Gregorio Magno, papa


La Chiesa avanza come aurora che sorge


Il primo albore o aurora fa passare dalle tenebre alla luce; per questo non senza ragione con il nome di alba o aurora è designata tutta la Chiesa degli eletti. Infatti passa dalla notte dell'infedeltà alla luce della fede a somiglianza dell'aurora e dopo le tenebre si apre al giorno con lo splendore della luce superna.
Perciò ben si legge nel Cantico dei Cantici: « Chi è costei che sorge come l'aurora? » (Ct 6, 10). La santa Chiesa, che aspira ai beni della vita eterna, è chiamata aurora, perché mentre lascia le tenebre del peccato, brilla della luce della santità.
Ma abbiamo ancora qualcosa di più profondo da considerare nella figura dell'alba e dell'aurora. L'aurora infatti o il primo mattino annunziano che è trascorsa la notte, e tuttavia non mostrano ancora tutto lo splendore del giorno; ma mentre cacciano la notte e accolgono il giorno, conservano la luce mescolata con le tenebre.
Che cosa dunque siamo in questa vita noi tutti che seguiamo la verità, se non l'aurora o l'alba? Poiché facciamo già alcune opere della luce, ma in alcune altre siamo ancora impigliati nei rimasugli delle tenebre.
Per questo il profeta dice a Dio: « Nessun vivente davanti a te è giusto » (Sal 142, 2). E ancora è scritto: « Tutti quanti manchiamo in molte cose » (Gc 3, 2).
Perciò Paolo, dopo aver detto: « La notte è avanzata », non ha affatto soggiunto Il giorno è venuto, ma: « Il giorno è vicino » (Rm 13, 12). Chi infatti afferma che la notte è trascorsa e che il giorno non è ancora venuto mostra senza dubbio di trovarsi ancora nell'aurora, cioè dopo le tenebre e prima del sole.
La santa Chiesa degli eletti sarà in pieno giorno, quando ad essa non sarà più mescolata l'ombra del peccato. Sarà completamente giorno, quando splenderà di ardore perfetto e di luce interiore.
Perciò l'aurora viene anche presentata come una fase di transizione, quando è detto: « E hai assegnato il posto all'aurora » (Gb 38, 12). Chi viene chiamato ad occupare un nuovo posto passa da una posizione a un'altra. Ma che cos'è il posto dell'aurora, se non la perfetta chiarezza della visione eterna? Quando sarà condotta a questo luogo, l'aurora non avrà ormai più nulla delle tenebre della notte trascorsa.
Il luogo verso il quale tende l'amore è enunziato dal salmista quando dice: « L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio? (Sal 41, 2).
Verso questo luogo già conosciuto si affrettava l'aurora, lo affermava Paolo quando diceva di avere la brama di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo. E soggiungeva: « Per me il vivere è Cristo, e il morire un guadagno » (Fil 1, 21).



Responsorio: (Fil 1, 3. 6. 9)

Colui che ha iniziato in voi l'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno del Cristo Signore.
Prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento,
fino al giorno del Cristo Signore.


Orazione:

Dio onnipotente ed eterno, esaudisci le preghiere della tua Chiesa che al mattino, a mezzogiorno e alla sera celebra le tue lodi; disperdi dal nostro cuore le tenebre del male, perché procediamo sicuri verso Cristo, vera luce che non tramonta. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.






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06/06/2008 03:23

Nona settimana del Tempo Ordinario - Venerdì


Lettura:

Dai « Trattati » di Baldovino di Canterbury, vescovo


Il Signore discerne i pensieri
e le intenzioni del cuore


Il Signore conosce i pensieri e le intenzioni del nostro cuore. Senza dubbio egli li conosce tutti, mentre noi solo quelli che ci è concesso di percepire per il dono del discernimento.
Il nostro spirito infatti non conosce tutto ciò che si trova nell'uomo, e riguardo ai suoi pensieri che, consapevole o meno, percepisce, non sempre intende come le cose stiano in realtà.
Anche quelle cose che scopre con gli occhi della mente, non le distingue nitidamente a causa di una certa caligine che ha sempre davanti agli occhi.
Spesso, infatti, o il nostro stesso giudizio o quello di altri o anche il tentatore ci presentano come buono e santo ciò che all'occhio di Dio non è per nulla degno di premio.
Vi sono contraffazioni di vere virtù, come anche di vizi, che ingannano e abbagliano gli occhi della mente con immagini ingannevoli, talmente che spesso appare bene il male e il male bene.
Questo fa parte della nostra miseria e della nostra ignoranza, che dobbiamo molto deplorare e molto temere.
Sta scritto infatti: Vi sono strade che sembrano buone all'uomo, ma che invece conducono all'abisso (cfr. Pro 16, 25).
Per farci evitare questo pericolo, l'apostolo Giovanni ammonisce dicendo: « Mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio » (1 Gv 4, 1).
Chi mai può esaminare le ispirazioni, se vengono da Dio, se non gli è stato dato da Dio il loro discernimento, così da poter esaminare esattamente e con retto giudizio i pensieri, le disposizioni, le intenzioni dello spirito? Il discernimento infatti è come la madre di tutte le virtù ed è necessario a tutti nel guidare la vita, sia propria che altrui.
E' giusto il proposito di fare le cose secondo la volontà di Dio. E' virtuosa l'intenzione che si dirige semplicemente verso il Signore. La nostra vita e ogni nostra azione saranno luminose solo se l'occhio sarà semplice. Ora l'occhio semplice è occhio, ed è semplice. E' occhio perché vede per mezzo di un retto sentire cosa si deve fare, ed è semplice perché agisce con pia intenzione escludendo la doppiezza.
Il retto sentire non cede all'errore. La pia intenzione esclude la finzione. Questo è dunque il discernimento, l'unione del retto pensiero e della virtuosa intenzione.
Tutto quindi si deve fare nella luce del discernimento, come sta in Dio e sotto lo sguardo di Dio.



Responsorio: (Cfr. Mic 6, 8; Sal 36, 3)

Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te. Pratica la giustizia, ama la pietà, cammina umilmente con il tuo Dio.
Confida nel Signore e fa' il bene; abiterai la terra e vivrai sicuro.
Pratica la giustizia, ama la pietà, cammina umilmente con il tuo Dio.


Orazione:

O Dio, che con la luce del tuo Figlio, parola di verità, disperdi le tenebre dell'ignoranza, accresci in noi il vigore della fede, perché nessuna tentazione possa estinguere quella fiamma che la tua grazia ha acceso nei nostri cuori. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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07/06/2008 07:07

Nona settimana del Tempo Ordinario - Sabato


Lettura:

Dalla « Esposizione su Giovanni » di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa


La via per giungere alla vera vita


La via è Cristo, e perciò dice: « Io sono la via » (Gv 14, 6). Il che è pienamente giustificato, infatti « per mezzo di lui poossiamo presentarci al Padre » (Ef 2, 18).
E siccome questa via conduce alla meta, aggiunge: « Sono la verità e la vita »; e così egli è al tempo stesso via e meta. Via secondo l'umanità, meta secondo la divinità. Dunque, in quanto uomo dice: « Io sono la via »; in quanto Dio aggiunge: « La verità e la vita ». Con queste due parole è indicato molto bene il traguardo di questa via.
Il punto d'arrivo di questa via infatti è la fine del desiderio umano. Ora l'uomo desidera due cose principalmente: in primo luogo quella conoscenza della verità che è propria della sua natura. In secondo luogo la permanenza nell'essere, proprietà questa comune a tutte le cose. In Cristo si trova l'una e l'altra. Egli è la via per arrivare alla conoscenza della verità, anzi è la stessa verità: Guidami Signore, nella verità e camminerò nella tua via (cfr. Sal 85, 11).
Similmente egli è la via per giungere alla vita, anzi, egli stesso è la vita: « Mi hai fatto conoscere il sentiero della vita » (Sal 15, 11 volg.).
E perciò ha designato la fine di questa via come verità e vita. Entrambe sono state applicate a Cristo più sopra.
Innanzitutto egli è la vita: si dice infatti « in lui era la vita », e poi che egli è la verità, perché « era la luce degli uomini » (Gv 1, 4). E la luce è la verità. Se dunque cerchi per dove passare, accogli Cristo perché egli è la via: « Questa è la strada, percorretela » (Is 30, 21). Dice Agostino: « Cammina attraverso l'uomo e giungerai a Dio ». E' meglio zoppicare sulla via che camminare a forte andatura fuori strada. Chi zoppica sulla strada, anche se avanza poco, si avvicina tuttavia al termine. Chi invece cammina fuori strada, quanto più velocemente corre, tanto più si allontana dalla meta.
Se cerchi dove andare, segui Cristo, perché egli è la verità, alla quale desideriamo arrivare: « La mia bocca proclama la verità » (Pro 8, 7). Se cerchi dove fermarti stai con Cristo, perché egli è la vita: Chi trova me, trova la vita e attingerà la salvezza dal Signore (cfr. Pro 8, 35).
Segui dunque Cristo se vuoi essere sicuro. Non potrai smarrirti, perché egli è la via. Perciò coloro che seguono lui non camminano per luoghi impraticabili, ma per la via giusta. Parimenti, non può esservi errore, perché egli è la verità ed insegna tutta la verità. Dice infatti: « Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità » (Gv 18, 37). Infine non può esservi confusione, perché egli è la vita e dà la vita.
Dice infatti: « Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza » (Gv 10, 10).


Responsorio: (Gv 8, 12; 14, 6. 5)

Dice il Signore: Chi segue me non cammina nelle tenebre. Io sono la via, la verità e la vita.
Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?
Io sono la via, la verità e la vita.


Orazione:

Risplenda sempre, o Dio, nei nostri cuori la luce del Figlio tuo risorto, perché liberi dalle tenebre del peccato, possiamo giungere alla pienezza della sua gloria. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.






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09/06/2008 02:00

9 giugno - SANT'EFREM, DIACONO E DOTTORE DELLA CHIESA


Oggi ricorre la memoria di sant'Efrem, diacono e dottore della Chiesa.
Nacque a Nisibi verso il 306 da famiglia cristiana. Ordinato diacono, esercitò il suo ufficio in patria e nella chiesa di Edessa, ove fondò l'omonima scuola teologica. Per quanto dedito alla vita ascetica, non tralasciò il ministero della predicazione e la pubblicazione di libri per confutare gli errori del suo tempo. Morì nel 373.


Lettura:

Dai « Discorsi » di sant'Efrem, diacono


Il disegno divino e il mondo spirituale


Fa' risplendere, o Signore, il giorno luminoso della tua scienza e scaccia la notte tenebrosa dalla nostra mente, perché sia illuminata e ti serva nella novità della purezza. Il sorgere del sole segna l'inizio dell'attività dei mortali. Fa', o Signore, che perduri nelle nostre menti il giorno che non conosce la fine. Donaci di vedere in noi stessi la vita della risurrezione e fa' che nulla distolga il nostro spirito dalle tue gioie. Imprimi in noi, o Signore, il segno di questo giorno che non trae inizio dal sole, infondendoci una costante ricerca di te.
Ogni giorno noi ti accogliamo nei tuoi sacramenti e ti riceviamo nel nostro cuore. Facci degni di sperimentare nella nostra persona la risurrezione che speriamo. Con la grazia del battesimo abbiamo nascosto nel nostro essere il tuo tesoro, quel tesoro che si accresce alla mensa dei tuoi sacramenti. Concedici di gioire della tua grazia. Noi possediamo in noi stessi il tuo memoriale che attingiamo alla tua mensa spirituale. Fa' che lo realizziamo pienamente nella rinascita eterna.
Quella bellezza spirituale, che la tua immortale volontà suscita anche nella condizione umana, ci faccia comprendere quanto sia grande la nostra dignità.
La tua crocifissione, o nostro Salvatore, pose fine alla vita del corpo. Concedici di crocifiggere spiritualmente la nostra anima. La tua risurrezione, o Gesù, faccia crescere in noi l'uomo spirituale. Il contatto con i tuoi misteri sia per noi come uno specchio che ce lo faccia conoscere.
Nel tuo piano divino, o nostro Salvatore, è configurato tutto il mondo della nostra salvezza. Concedici di seguirlo come uomini spirituali. Non privare, o Signore, la nostra mente della tua rivelazione divina e non togliere alle nostre membra il calore della tua comprensione. La natura mortale del nostro corpo ci conduce alla morte. Riversa su di noi il tuo amore divino, che cancelli dal nostro cuore gli effetti della mortalità. Concedici, o Signore, di affrettarci verso la nostra patria celeste e, come Mosè sul Sinai, fa' che la possediamo per mezzo della tua rivelazione.



Responsorio: (Sir 47, 8. 9. 10)

Cantò inni al Signore con tutto il cuore, e amò colui che l'aveva creato; introdusse musicanti davanti all'altare, raddolcendo il canto con i loro suoni.
Per far lodare il nome santo di Dio ed echeggiare fin dal mattino il santuario,
introdusse musicanti davanti all'altare, raddolcendo il canto con i loro suoni.



Orazione:

Dona, Signore, alla comunità dei credenti il fuoco del tuo Santo Spirito che ispirò sant'Efrem, diacono e cantore della tua gloria, a celebrare con inni mirabili i tuoi divini misteri. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.




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10/06/2008 03:26

Decima settimana del Tempo Ordinario - Martedì


dall'Ufficio delle Letture:


I n n o


Ascolta, o Padre Santo,
la voce dei fedeli,
che invocano il tuo nome.

Tu spezza le catene,
guarisci le ferite,
perdona i nostri errori.

Senza te siam sommersi
in un gorgo profondo
di peccati e di tenebre.

Il tuo braccio potente
ci conduca a un approdo
di salvezza e di pace.

Sia onore e gloria al Padre,
al Figlio e al Santo Spirito
nei secoli dei secoli. Amen.



Salmo 36 - Il destino dell'empio e del giusto

Beati i miti perché erediteranno la terra (Mt 5, 5)


Non adirarti contro gli empi,
non invidiare i malfattori.
Come fieno presto appassiranno,
cadranno come erba del prato.

Confida nel Signore e fa' il bene,
abita la terra e vivi con fede.
Cerca la gioia nel Signore,
esaudirà i desideri del tuo cuore.

Manifesta al Signore la tua via,
confida in lui, compirà la sua opera;
farà brillare come luce la tua giustizia,
come il meriggio il tuo diritto.

Sta' in silenzio davanti al Signore
e spera in lui;
non irritarti per chi ha successo,
per l'uomo che trama insidie.

Desisti dall'ira e deponi lo sdegno,
non irritarti: faresti del male,
poiché i malvagi saranno sterminati,
ma chi spera nel Signore possederà la terra.

Ancora un poco e l'empio scompare,
cerchi il suo posto e più non lo trovi.
I miti invece possederanno la terra
e godranno di una grande pace.

L'empio trama contro il giusto,
contro di lui digrigna i denti.
Ma il Signore ride dell'empio,
perché vede arrivare il suo giorno.

Gli empi sfoderano la spada
e tendono l'arco
per abbattere il misero e l'indigente,
per uccidere chi cammina sulla retta via.

La loro spada raggiungerà il loro cuore
e i loro archi si spezzeranno.

Il poco del giusto è cosa migliore
dell'abbondanza degli empi;
le braccia degli empi saranno spezzate,
ma il Signore è il sostegno dei giusti.

Conosce il Signore la vita dei buoni,
la loro eredità durerà per sempre.
Non saranno confusi nel tempo della sventura
e nei giorni della fame saranno saziati.

Poiché gli empi periranno,
i nemici del Signore appassiranno
come lo splendore dei prati,
tutti come fumo svaniranno.

L'empio prende in prestito e non restituisce,
ma il giusto ha compassione e dà in dono.

Chi è benedetto da Dio possederà la terra,
ma chi è maledetto sarà sterminato.

Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo
e segue con amore il suo cammino.
Se cade, non rimane a terra,
perché il Signore lo tiene per mano.

Sono stato fanciullo e ora sono vecchio,
non ho mai visto il giusto abbandonato
né i suoi figli mendicare il pane.

Egli ha sempre compassione e dà in prestito,
per questo la sua stirpe è benedetta.

Sta' lontano dal male e fa' il bene,
e avrai sempre una casa.

Poiché il Signore ama la giustizia
e non abbandona i suoi fedeli;
gli empi saranno distrutti per sempre
e la loro stirpe sarà sterminata.

I giusti possederanno la terra
e la abiteranno per sempre.

La bocca del giusto proclama la sapienza,
e la sua lingua esprime la giustizia;
la legge del suo Dio è nel suo cuore,
i suoi passi non vacilleranno.

L'empio spia il giusto
e cerca di farlo morire.
Il Signore non lo abbandona alla sua mano,
nel giudizio non lo lascia condannare.

Spera nel Signore e segui la sua via:
ti esalterà e tu possederai la terra
e vedrai lo sterminio degli empi.

Ho visto l'empio trionfante
ergersi come cedro rigoglioso;
sono passato e più non c'era,
l'ho cercato e più non si è trovato.

Osserva il giusto e vedi l'uomo retto,
l'uomo di pace avrà una discendenza.
Ma tutti i peccatori saranno distrutti,
la discendenza degli empi sarà sterminata.

La salvezza dei giusti viene dal Signore,
nel tempo dell'angoscia è loro difesa;

il Signore viene in loro aiuto e li scampa,
li libera dagli empi e darà loro salvezza,
perché in lui si sono rifugiati.



Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, com'era nel principio, ora e sempre, nei secoli dei
secoli. Amen
.


Versetto: Insegnami sapienza e conoscenza:
ho fiducia nelle tue parole.






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Decima settimana del Tempo Ordinario - Mercoledì


Lettura:

Dalle « Omelie sul libro di Giosuè » di Origène, sacerdote


Il passaggio del Giordano


Nel Giordano l'arca dell'alleanza guidava il popolo di Dio. Si ferma la schiera dei sacedoti e dei
leviti e le acque, come per riverenza ai ministri di Dio, arrestano il loro corso e si accumulano in
un ammasso rigido, concedendo un passaggio senza danno al popolo di Dio. Ora non
meravigliarti, o cristiano, quando ti vengono riferiti questi avvenimenti riguardanti il popolo
ebraico, dal momento che a te uscito dal Giordano per mezzo del sacramento del battesimo, la
divina parola promette cose molto più grandi ed elevate, e ti offre un viaggio e un passaggio
verso il cielo, attraverso l'etere. Ascolta infatti Paolo che dice riguardo ai giusti: « Saremo rapiti
tra le nubi per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore » (1 Ts
4, 17). Non vi è assolutamente nulla che il giusto debba temere. Ogni creatura infatti gli è
soggetta.
Ascolta, infine, come anche per mezzo del profeta Dio lo assicuri dicendo: Se dovessi passare
attraverso il fuoco, la fiamma non ti brucerà, poiché io sono il Signore tuo Dio (cfr. Is 43, 2).
Perciò ogni luogo accoglie il giusto, e ogni creatura gli offre il dovuto servizio. E non ritenere
che queste cose siano accadute solo presso gli uomini che ti hanno preceduto, come se per te
che ora stai ascoltando queste cose, non potesse accadere nulla di simile: tutto si compirà in te
secondo un piano misterioso.
Mi rivolgo ora a te, che, abbandonate le tenebre dell'idolatria, desideri darti all'ascolto della
legge divina e cominci a uscire anche tu dall'Egitto.
Allorché sei stato aggregato al numero dei catecumeni e hai cominciato ad ubbidire ai precetti
della Chiesa, ti sei allontanato dal Mar Rosso, e fermandoti nelle diverse tappe del deserto, ti sei
applicato ogni giorno ad ascoltare la parola di Dio e ad osservare il volto di Mosè. reso
splendente dalla gloria del Signore. Giungerai al mistico fonte del battesimo e, quando la schiera
dei sacerdoti e dei leviti avrà preso posto, sarai iniziato ai quei venerandi e splendidi sacramenti,
conosciuti da coloro ai quali è permesso di conoscerli. Allora, attraversato il Giordano per
mezzo del ministero dei sacerdoti, entrerai nella terra promessa, nella quale dopo Mosè ti riceve
Cristo.
Egli stesso ti sarà guida per il tuo nuovo viaggio.
Allora, memore di tante e così grandi meraviglie di Dio, capirai che per te si è diviso il mare e si
arrestò l'acqua del fiume. Ti rivolgerai a questi elementi e dirai: Che hai tu, o mare, che ti sei
ritirato? E tu, o Giordano, che ti sei voltato in senso inverso? Perché voi monti avete saltato di
gioia come arieti, e voi colline come agnelli di un gregge? Risponderà la parola divina e dirà:
Dall'apparizione del Signore è stata scossa la terra, dall'apparizione del Dio di Giacobbe, che ha
trasformato la pietra in un pozzo d'acqua, e la rupe in zampilli di acque (cfr. Sal 113, 5-8).



Responsorio: (Cfr. Sap 17, 1; 19. 22; Sal 76, 20)

I tuoi giudizi sono grandi, o Signore, e difficili da spiegare; hai reso grande e glorioso il tuo
popolo.
Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque:
hai reso grande e glorioso il tuo popolo.


Orazione:

O Dio, sorgente di ogni bene, ispiraci propositi giusti e santi e donaci il tuo aiuto perché
possiamo attuarli nella nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive
e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.






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12/06/2008 05:06

Decima settimana del Tempo Ordinario - Giovedì


Lettura:

Dalle « Omelie sul libro di Giosuè » di Origène, sacerdote


La presa di Gerico


Gerico viene circondata, è necessario che sia espugnata. Come dunque viene espugnata Gerico? Non si usa la spada contro di essa, non viene spinto l'ariete, né vengono lanciati i giavellotti, si usano soltanto le trombe sacerdotali e da queste sono atterrate le mura di Gerico.
Nelle Scritture troviamo frequentemente che Gerico viene portata come immagine del mondo del male e dell'errore. Infatti anche nel vangelo, dove si dice che un uomo era disceso da Gerusalemme a Gerico ed era incappato nei ladri, senza dubbio vi era contenuta l'immagine di quell'Adamo che dal paradiso era stato cacciato nell'esilio di questo mondo. E anche i ciechi che si trovavano a Gerico, ai quali si accostò Gesù per dar loro la vista, rappresentavano l'immagine di coloro che in questo mondo erano colpiti dalla cecità dell'ignoranza e ai quali venne incontro il Figlio di Dio. Perciò questa Gerico, cioè questo mondo, dovrà finire. E difatti la consumazione del mondo è già stata da tempo rivelata nei libri santi.
In che modo sarà distrutto? Con quali strumenti? « Con le voci delle trombe », dice. Di quali trombe? Paolo ti svela il segreto di questo mistero. Ascolta quello che egli dice: Suonerà, esclama, la tromba, e coloro che sono morti in Cristo, risorgeranno intatti, e il Signore stesso al comando, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba discenderà dal cielo (cfr. 1 Cor 15, 52; 1 Ts 4, 16). Gesù nostro Signore vincerà quindi Gerico con il suono delle trombe e la annienterà a tal punto che di essa si salverà soltanto la donna peccatrice e tutta la sua casa. « Verrà » dice, « il Signore nostro Gesù e verrà al suono della tromba ».
E salverà quella sola che accolse i suoi esploratori, quella che dopo aver ricevuto gli apostoli nella fede e nell'obbedienza, li ha collocati nei posti più alti, e unirà e congiungerà questa donna peccatrice con la casa di Israele. Ma non richiamiamo più alla memoria e non attribuiamo a lei la vecchia colpa, non imputiamogliela più. Un tempo fu una peccatrice, ora invece, come vergine casta, è stata unita ad un solo uomo casto, Cristo. Da lei discendeva anche colui stesso che diceva: Anche noi un tempo eravamo stolti, increduli, erranti, soggetti a ogni sorta di passioni e voluttà (cfr. Tt 3, 3).
Vuoi apprendere, ancora più per esteso in che modo la peccatrice non è ormai più peccatrice? Ascolta allora Paolo che dice: Anche voi certo foste tutto questo, ma siete stati purificati, siete stati santificati nel nome del Signore nostro Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (cfr. 1 Cor 6, 11). Perché dunque potesse salvarsi per non perire con Gerico, ricevette dagli esploratori un efficacissimo contrassegno di salvezza: una cordicella di color scarlatto: segno che per mezzo del sangue di Cristo è salvata la Chiesa universale nello stesso Gesù Cristo nostro Signore, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.



Responsorio: (Cfr. Is 49, 22. 26; Gv 8, 28)

Alzerò la mia mano davanti ai popoli, per le nazioni eleverò il mio vessillo, e ogni uomo lo saprà: io sono il Signore, tuo salvatore, il forte di Giacobbe.
Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono;
io sono il Signore, tuo salvatore, il forte di Giacobbe.



Orazione:

O Dio, vera luce e sorgente della luce, ascolta la nostra preghiera del mattino e fa' che meditando con perseveranza la tua legge, viviamo sempre illuminati dallo splendore della tua verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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13/06/2008 06:56

Decima settimana del Tempo Ordinario - Venerdì


Lettura:

Dal « Commento sui salmi » di sant'Ambrogio, vescovo


Il dolce libro dei salmi


Tutta la Scrittura divina spira la bontà di Dio, tuttavia lo fa più di tutto il dolce libro dei salmi. Pensiamo a quanto fece Mosè. Egli descrisse le gesta degli antenati sempre con stile piano. Vi furono circostanze, però, nelle quali sentì il bisogno di innalzarsi ad altezze liriche. Così quando in quel memorabile evento fece passare attraverso il Mare Rosso il popolo dei padri, vedendo il re Faraone sommerso con il suo esercito, dopo aver compiuto cose superiori alle sue forze, si sentì profondamente ispirato e cantò al Signore un inno trionfale. Anche Maria, la profetessa, prendendo il cèmbalo esortava le altre sue compagne dicendo: « Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere! » (Es 15, 21).
La storia ammaestra, la legge istruisce, la profezia predice, la correzione castiga, la buona condotta persuade, ma nel libro dei salmi vi è come una sintesi di tutto questo e come una medicina dell'umana salvezza. Chiunque li legge, trova di che curare le ferite delle proprie passioni con uno speciale rimedio. Chiunque voglia lottare, guardi quanto si dice nei salmi e gli sembrerà di trovarsi nella pubblica palestra delle anime e nello studio delle virtù e gli si offriranno diverse specie di gare. Si scelga fra queste quella alla quale si riconosce più adatto, per giungere più facilmente alla corona del premio.
Se uno ama di ripercorrere e di imitare le gesta degli antenati, troverà tutta la storia dei padri raccolta in un solo salmo, e si procurerà con una breve lettura un vero tesoro per la memoria. Se altri vuol conoscere la forza dell'amore della legge, che tutta sta nel vincolo dell'amore, poiché « pieno compimento della legge è l'amore » (Rm 13, 10), legga nei salmi con quanto sentimento di amore uno solo si è esposto a gravi pericoli per respingere il disonore di tutto un popolo e in questa trionfale prova di valore riconoscerà una non minore gloria di amore.
E che dire del carisma profetico? Ciò che altri hanno annunziato in maniera confusa, solamente a Davide appare promesso con chiarezza ed apertamente. Sentì, infatti che il Signore Gesù sarebbe nato dalla sua stessa stirpe, come gli disse Dio: « Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono! » (Sal 131, 11). Nei salmi Gesù non solamente è preannunziato nella sua nascita per noi, ma accetta anche la sua passione, come causa di salvezza. Per noi muore, risorge, sale al cielo, siede alla destra del Padre. Ciò che nessun uomo avrebbe mai osato dire, lo ha annunziato il salmista profeta e poi lo ha predicato nel vangelo lo stesso Signore.



Responsorio: (Sal 56, 8-9)

Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. Voglio cantare, a te voglio inneggiare.
Svegliati, mio cuore; svegliatevi, arpa e cetra: voglio svegliare l'aurora.
Voglio cantare, a te voglio inneggiare.


Orazione:

Accogli, Dio onnipotente, la nostra lode del mattino, e fa' che ci uniamo un giorno al coro dei tuoi santi per cantare in eterno la tua gloria. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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14/06/2008 04:25

Decima settimana del Tempo Ordinario - Sabato


Lettura:

Dal « Commento sui salmi » di sant'Ambrogio, vescovo


Canterò con lo spirito,
ma canterò anche con l'intelligenza


Che cosa di più dolce di un salmo? Per questo lo stesso Davide dice splendidamente: « Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene » (Sal 146, 1). Davvero! Il salmo infatti è benedizione per i fedeli, lode a Dio, inno del popolo, plauso di tutti, parola universale, voce della Chiesa, professione e canto di fede, espressione di autentica devozione, gioia di libertà, grido di giubilo, suono di letizia. Mitiga l'ira, libera dalle sollecitudini, solleva dalla mestizia. E' protezione nella notte, istruzione nel giorno, scudo nel timore, festa nella santità, immagine di tranquillità, pegno di pace e di concordia che, a modo di cetra, da voci molteplici e differenti ricava un'unica melodia. Il salmo canta il sorgere del giorno, il salmo ne fa risonare il tramonto.
Nel salmo il gusto gareggia con l'istruzione. Nello stesso tempo si canta per diletto e si apprende per ammaestramento. Che cos'è che non trovi quando tu leggi i salmi? In essi leggo: « Canto d'amore » (Sal 44, 1) e mi sento infiammare dal desiderio di un santo amore. In essi passo in rassegna le grazie della rivelazione, le testimonianze della risurrezione, i doni della promessa. In essi imparo ad evitare il peccato, e a non vergognarmi della penitenza per i peccati.
Che cos'è dunque il salmo se non lo strumento musicale delle virtù, suonando il quale con il plettro dello Spirito Santo, il venerando profeta fa echeggiare in terra la dolcezza del suono celeste? Modulava gli accordi di voci diverse sulle corde della lira e dell'arpa, che sono resti di animali morti, e così innalzava verso il cielo il canto della divina lode. In tal modo ci insegnava che prima si deve morire al peccato e solamente dopo si può stabilire in questo corpo la varietà delle diverse opere di virtù con le quali rendere al Signore l'omaggio della nostra devozione.
Davide ci ha dunque insegnato che bisogna cantare, che bisogna salmeggiare nell'intimo del cuore come cantava anche Paolo dicendo: « Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l'intelligenza » (1 Cor 14, 15). Davide ci ha detto che bisogna formare la nostra vita e i nostri atti alla contemplazione delle cose superne, perché il piacere della dolcezza non ecciti le passioni del corpo, dalle quali la nostra anima è oppressa e non liberata.
Il santo profeta ci ha ricordato che egli salmeggiava per liberare la sua anima e per questo disse: « Ti canterò sulla cetra, o santo d'Israele. Cantando le tue lodi esulteranno le mie labbra e la mia vita, che tu hai riscattato » (Sal 70, 22-23).


Responsorio: (Sal 91, 2. 4)

E' bello dar lode al Signore, inneggiare al tuo nome, o Altissimo.
Sull'arpa a dieci corde e sulla lira, con canti sulla cetra
inneggiare al tuo nome, o Altissimo.


Lettura breve: (Rm 12, 14-16a)

Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili.


Responsorio breve:

Esultano le mie labbra cantando le tue lodi.
Esultano le mie labbra cantando le tue lodi.
La mia lingua proclama la tua giustizia
cantando le tue lodi.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Esultano le mie labbra cantando le tue lodi.



Orazione:

Ti lodi, o Signore, la nostra voce, ti lodi il nostro spirito, e poiché il nostro essere è dono del tuo amore, tutta la nostra vita si trasformi in perenne liturgia di lode. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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15/06/2008 07:07

Undecima settimana del Tempo Ordinario - Domenica


Lettura:

Dal trattato « Sul Padre nostro » di san Cipriano, vescovo e martire


La preghiera prorompa da un cuore umile


Per coloro che pregano, le parole e la preghiera siano fatte in modo da racchiudere in sé silenzio e timore. Pensiamo di trovarci al cospetto di Dio. Occorre essere graditi agli occhi divini sia con la posizione del corpo, sia con il tono della voce. Infatti come è da monelli fare fracasso con schiamazzi, così al contrario è confacente a chi è ben educato pregare con riserbo e raccoglimento. Del resto, il Signore ci ha comandato e insegnato a pregare in segreto, in luoghi appartati e lontani, nelle stesse abitazioni. E' infatti proprio della fede sapere che Dio è presente ovunque, che ascolta e vede tutti, e che con la pienezza della sua maestà penetra anche nei luoghi nascosti e segreti, come sta scritto: Io sono il Dio che sta vicino, e non il Dio che è lontano. Se l'uomo si sarà nascosto in luoghi segreti, forse per questo io non lo vedrò? Forse che io non riempio il cielo e la terra? (cfr. Ger 23, 23-24). Ed ancora: In ogni luogo gli occhi del Signore osservano attentamente i buoni e i cattivi (cfr. Pro 15, 3).
E allorché ci raduniamo con i fratelli e celebriamo con il sacerdote di Dio i divini misteri dobbiamo rammentarci del rispetto e della buona educazione: non sventolare da ogni parte le nostre preghiere con voci disordinate, né pronunziare con rumorosa loquacità una supplica che deve essere affidata a Dio in umile e devoto contegno. Dio non è uno che ascolta la voce, ma il cuore. Non è necessario gridare per richiamare l'attenzione di Dio, perché egli vede i nostri pensieri. Lo dimostra molto bene quando dice: « Perché mai pensate cose malvage nel vostro cuore? » (Mt 9, 4). E in altro luogo dice: « E tutte le chiese sapranno che io sono colui che scruta gli affetti e i pensieri » (Ap 2, 23).
Per questo nel primo libro dei Re, Anna, che conteneva in sé la figura della Chiesa, custodiva e conservava quelle cose che chiedeva a Dio, non domandandole a gran voce, ma sommessamente e con discrezione, anzi, nel segreto stesso del cuore. Parlava con preghiera nascosta, ma con fede manifesta. Parlava non con la voce ma con il cuore, poiché sapeva che così Dio ascolta. Ottenne efficacemente ciò che chiese, perché domandò con fiducia. Lo afferma chiaramente la divina Scrittura: Pregava in cuor suo e muoveva soltanto le sue labbra, ma la voce non si udiva, e l'ascoltò il Signore (cfr. 1 Sam 1, 13). Allo stesso modo leggiamo nei salmi: Parlate nei vostri cuori e pentitevi sul vostro giaciglio (cfr. Sal 4, 5). Per mezzo dello stesso Geremia lo Spirito Santo consiglia e insegna dicendo: Tu, o Signore, devi essere adorato nella coscienza (cfr. Bar 6, 5).
Pertanto, fratelli dilettissimi, chi prega non ignori in quale modo il pubblicano abbia pregato assieme al fariseo nel tempio. Non teneva gli occhi alzati al cielo con impudenza, non sollevava smodatamente le mani, ma picchiandosi il petto e condannando i peccati racchiusi nel suo intimo, implorava l'aiuto della divina misericordia. E mentre il fariseo si compiaceva di se stesso, fu piuttosto il pubblicano che meritò di essere giustificato, perché pregava nel modo giusto, perché non aveva riposto la speranza di salvezza nella fiducia della sua innocenza, dal momento che nessuno è innocente. Pregava dopo aver confessato umilmente i suoi peccati. E così colui che perdona agli umili ascoltò la sua preghiera.


Responsorio:

Ecco il nostro atteggiamento dinanzi a Dio e ai suoi angeli: nel salmodiare, il nostro spirito s'intoni con la voce.
Non per le molte parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione profonda sappiamo di essere esauditi:
nel salmodiare, il nostro spirito s'intoni con la voce.


Orazione:

O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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16/06/2008 06:56

Undecima settimana del Tempo Ordinario - Lunedì


Lettura:

Dal trattato « Sul Padre nostro » di san Cipriano, vescovo e martire


La nostra preghiera
deve essere pubblica e universale


Innanzitutto il dottore della pace e maestro dell'unità non volle che la preghiera fosse esclusivamente individuale e privata, cioè egoistica, come quando uno prega soltanto per sé. Non diciamo: « Padre mio, che sei nei cieli », né: « Dammi oggi il mio pane », né ciascuno chiede che sia rimesso soltanto il suo debito, o implora per sé solo di non essere indotto in tentazione o di essere liberato dal male. Per noi la preghiera è pubblica e universale, e quando preghiamo, non imploriamo per uno solo ma per tutto il popolo, poiché tutto il popolo forma una cosa sola.
Il Dio della pace e maestro della concordia, che ha insegnato l'unità, volle che ciascuno pregasse per tutti, così come egli portò tutti nella persona di uno solo.
Osservarono questa legge della preghiera i tre fanciulli rinchiusi nella fornace di fuoco, quando si accordarono all'unisono nella preghiera e furono unanimi nell'accordo dello spirito. Lo afferma la divina Scrittura. Dicendoci che hanno pregato uniti, ci dà un modello da seguire, perché facciamo così anche noi. Allora, dice, quei tre a una sola voce cantavano un inno e benedicevano Dio (cfr. Dn 3, 51). Parlavano come a una sola voce, e Cristo non aveva ancora insegnato loro a pregare.
Proprio perché pregavano così, le loro parole furono efficaci ed esaudite: la preghiera ispirata alla pace, semplice e interiore si guadagna la benevolenza di Dio. Troviamo scritto che gli apostoli pregavano così assieme ai discepoli dopo l'ascensione del Signore. « Erano », si dice, « tutti assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui » (At 1, 14). Erano assidui e concordi nella preghiera, manifestando sia con l'assiduità della loro preghiera sia con la concordia, che Dio, il quale fa abitare unanimi (cfr. Sal 67, 7) nella casa, non ammette nella divina ed eterna dimora se non coloro che pregano in fusione di cuori. Quali e quante poi sono, fratelli carissimi, le rivelazioni della preghiera del Signore! Esse si trovano raccolte in una invocazione brevissima, ma carica di spirituale potenza. Non c'è assolutamente nulla che non si trovi racchiuso in questa nostra preghiera di lode e di domanda. Essa, perciò, forma un vero compendio di dottrina celeste.
L'uomo nuovo, rinato e rifatto dal suo Dio per mezzo della sua grazia, in primo luogo dice « Padre », perché ha già incominciato ad essergli figlio. « Venne tra la sua gente », è scritto, « ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome » (Gv 1, 11-12).
Chi, dunque, ha creduto nel suo nome ed è diventato figlio di Dio, deve cominciare di qui, dal rendere grazie e professarsi figlio di Dio allorché indica che Dio gli è Padre nei cieli.



Responsorio: (Sal 21, 23; 56, 10)

Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
Ti loderò tra i popoli, Signore, a te canterò inni tra le genti;
ti loderò in mezzo all'assemblea.


Orazione:

Signore Dio, re del cielo e della terra, guida, santifica e custodisci il nostro corpo e il nostro spirito, sentimenti, parole e opere, nell'amore della tua legge, a servizio della tua volontà, perché oggi e sempre con il tuo aiuto procediamo sicuri nella via della salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.








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17/06/2008 07:16

Undecima settimana del Tempo Ordinario - Martedì


Lettura:

Dal trattato « Sul Padre nostro » di san Cipriano, vescovo e martire


Sia santificato il tuo nome


Quanto è preziosa la grazia del Signore, quanto alta la sua degnazione e magnifica la sua bontà verso di noi! Egli ha voluto che noi celebrassimo la nostra preghiera davanti a lui e lo invocassimo col nome di Padre, e come Cristo è Figlio di Dio, così noi pure ci chiamassimo figli di Dio. Questo nome nessuno di noi oserebbe pronunziarlo nella preghiera, se egli stesso non ci avesse permesso di pregare così. Dobbiamo dunque ricordare e sapere, fratelli carissimi, che, se diciamo Dio nostro Padre, dobbiamo comportarci come figli di Dio perché allo stesso modo con cui noi ci compiacciamo di Dio Padre, così anch'egli si compiaccia di noi.
Comportiamoci come tempio di Dio, perché si veda che Dio abita in noi. E il nostro agire non sia in contrasto con lo spirito, perché, dal momento che abbiamo incominciato ad essere creature spirituali e celesti, non abbiamo a pensare e compiere se non cose spirituali e celesti, giacché lo stesso Signore dice: « Chi mi onorerà, anch'io lo onorerò; chi mi disprezzerà sarà oggetto di disprezzo » (1 Sam 2, 30).
Anche il beato Apostolo in una sua lettera ha scritto: « Non appartenete a voi stessi; infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! » (1 Cor 6, 20).
Dopo questo diciamo: « Sia santificato il tuo nome », non perché auguriamo a Dio che sia santificato dalle nostre preghiere, ma perché chiediamo dal Signore che in noi sia santificato il suo nome. D'altronde da chi può essere santificato Dio, quando è lui stesso che santifica? Egli disse: « Siate santi, perché anch'io sono santo » (Lv 11, 45). Perciò noi chiediamo e imploriamo che, santificati dal battesimo, perseveriamo in ciò che abbiamo incominciato ad essere. E questo lo chiediamo ogni giorno. Infatti abbiamo bisogno di una quotidiana santificazione. Siccome pecchiamo ogni giorno, dobbiamo purificarci dai nostri delitti con una ininterrotta santificazione.
quale sia poi la santificazione che viene operata in noi dalla misericordia di Dio lo annunzia l'apostolo dicendo: « Né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! » (1 Cor 6, 9-11). Ci dice santificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. Noi preghiamo perché rimanga in noi questa santificazione. E poiché il Signore e giudice nostro impone a chi è stato da lui guarito o risuscitato di mai più peccare, perché non abbia ad accadergli qualcosa di peggio, chiediamogli giorno e notte di custodire in noi quella santità e quella vita, che viene dalla sua grazia.



Responsorio: (Ez 36, 23. 25. 26.27; Lv 11, 44)

Santificherò il mio nome. Vi aspergerò con acqua pura; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo; vi farò vivere secondo i miei statuti e osservare le mie leggi.
Siate santi, perché io sono santo:
vi farò vivere secondo i miei statuti e osservare le mie leggi.



Orazione:

O Dio, creatore e Signore di tutte le cose, donaci di iniziare lietamente questo giorno e di concluderlo nel generoso servizio tuo e dei nostri fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.




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18/06/2008 07:15

Undecima settimana del Tempo Ordinario - Mercoledì


Lettura:

Dal trattato « Sul Padre nostro » di san Cipriano, vescovo e martire


Venga il tuo regno.
Sia fatta la tua volontà


« Venga il tuo regno ». Domandiamo che venga a noi il regno di Dio, così come chiediamo che sia santificato in noi il suo nome. Ma ci può essere un tempo in cui Dio non regna? O quando presso di lui può cominciare ciò che sempre fu e mai cessò di esistere? Non è questo che noi chiediamo, ma piuttosto che venga il nostro regno, quello che Dio ci ha promesso, e che ci è stato acquistato dal sangue e dalla passione di Cristo, perché noi, che prima siamo stati schiavi del mondo, possiamo in seguito regnare sotto la signoria di Cristo. Così egli stesso promette, dicendo: « Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo » (Mt 25, 34).
In verità, fratelli carissimi, lo stesso Cristo può essere il regno di Dio di cui ogni giorno chiediamo la venuta, di cui desideriamo vedere, al più presto, l'arrivo per noi. Egli infatti è la risurrezione, poiché in lui risorgiamo. Per questo egli può essere inteso come il regno di Dio, giacché in lui regneremo. Giustamente dunque chiediamo il regno di Dio, cioè il regno celeste, poiché vi è anche un regno terrestre. Ma chi ha ormai rinunziato al mondo del male, è superiore tanto ai suoi onori quanto al suo regno.
Proseguendo nella preghiera diciamo: « Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra », non tanto perché faccia Dio ciò che vuole, ma perché possiamo fare noi ciò che Dio vuole. Infatti chi è capace di impedire a Dio di fare ciò che vuole? Siamo noi invece che non facciamo ciò che Dio vuole, perché contro di noi si alza il diavolo ad impedirci di orientare il nostro cuore e le nostre azioni secondo il volere divino. Per questo preghiamo e chiediamo che si faccia in noi la volontà di Dio. E perché questa si faccia in noi abbiamo bisogno della volontà di Dio, cioè della sua potenza e protezione, poiché nessuno è forte per le proprie forze, ma lo diviene per la benevolenza e la misericordia di Dio. Infine anche il Signore, mostrando che anche in lui c'era la debolezza propria dell'uomo, disse: « Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! » (Mt 26, 39). E offrendo l'esempio ai suoi discepoli perché non facessero la volontà loro, ma quella di Dio, aggiunse: « Però non come voglio io, ma come vuoi tu ».
La volontà di Dio dunque è quella che Cristo ha eseguito e ha insegnato. E' umiltà nella conversazione, fermezza nella fede, discrezione nelle parole, nelle azioni giustizia, nelle opere misericordia, nei costumi severità. Volontà di Dio è non fare dei torti e tollerare il torto subito, mantenere la pace con i fratelli, amare Dio con tutto il cuore, amarlo in quanto è Padre, temerlo in quanto è Dio, nulla assolutamente anteporre a Cristo, poiché neppure lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di Dio è stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e forza, dargli ferma testimonianza quando è in discussione il suo nome e il suo onore, mostrare sicurezza della buona causa, quando ci battiamo per lui, accettare con lieto animo la morte quando essa verrà per portarci al premio.
Questo significa voler essere coeredi di Cristo, questo è fare il comando di Dio, questo è adempiere la volontà del Padre.



Responsorio: (Mt 7, 21; Mc 3, 35)

Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, entrerà nel regno dei cieli.
Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre:
entrerà nel regno dei cieli.



Orazione:

Illumina, Signore, i nostri sensi con la luce del tuo Spirito, perché possiamo essere sempre fedeli a te, che con la tua sapienza ci hai creati e con la tua provvidenza ci guidi. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.






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19/06/2008 06:47

Undecima settimana del Tempo Ordinario - Giovedì


Lettura:

Dal trattato « Sul Padre nostro » di san Cipriano, vescovo e martire


Dopo il cibo, si chiede il perdono del peccato


Dicendo la preghiera del Signore, noi chiediamo: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». Ciò può essere inteso sia in senso spirituale che in senso materiale, poiché l'uno e l'altro significato, nell'economia divina, serve per la salvezza. Infatti il pane di vita è Cristo, e questo pane non è di tutti, ma certo nostro lo è. E come diciamo « Padre nostro », perché è Padre di coloro che intendono e credono, così invochiamo anche il « pane nostro », poiché Cristo è pane di coloro che come noi assumono il suo corpo.
Chiediamo quindi che ogni giorno ci sia dato questo pane. Noi viviamo in Cristo e riceviamo ogni giorno la sua Eucaristia come cibo di salvezza. Non accada che, a causa di peccati gravi, ci venga negato il pane celeste, e così, privati della comunione, veniamo anche separati dal corpo di Cristo. Egli stesso ha proclamato infatti: Io sono il pane di vita, che sono disceso dal cielo. Se uno mangerà del mio pane, vivrà in eterno. E il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo (cfr. Gv 6, 51).
Dice che se qualcuno mangerà del suo pane vivrà in eterno. E' evidente dunque che vivono coloro che gustano il suo corpo e ricevono l'Eucaristia per diritto di comunione. Da ciò si deduce che se qualcuno si astiene dall'Eucaristia si separa dal corpo di Cristo, e rimane lontano dalla salvezza. E' un fatto di cui preoccuparsi. Preghiamo il Signore che non avvenga. E' lui stesso che pronunzia questa minaccia, dicendo: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi (cfr. Gv 6, 53). Per questo chiediamo che ci sia dato ogni giorno il nostro pane, cioè Cristo, perché noi che rimaniamo e viviamo in Cristo, non ci allontaniamo dalla sua vita divina.
Dopo queste cose preghiamo anche per i nostri peccati, dicendo: « E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori ». Dopo aver chiesto il sussidio del cibo, chiediamo pure perdono delle colpe.
Come è davvero necessario, e come è prudente e salutare essere avvertiti che siamo peccatori, ed essere spinti a pregare per i nostri peccati! In tal modo, mentre chiediamo il perdono a Dio, l'animo fa riemergere la consapevolezza di sé. E perché non avvenga che qualcuno si compiaccia come se fosse senza colpe e, salendo in alto, non abbia a cadere più rovinosamente, viene istruito e ammaestrato che egli pecca ogni giorno, e perciò gli si comanda di pregare ogni giorno per i peccati.
Così ammonisce anche Giovanni nella sua lettera, dicendo: Se diremo che non abbiamo alcun peccato, ci inganniamo da noi stessi, e non c'è in noi la verità. Se invece confesseremo i nostri peccati, il Signore è fedele e giusto, e ci rimette i peccati (cfr. 1 Gv 1, 8). Nella sua lettera ha unito assieme l'una e l'altra cosa: che noi dobbiamo pregare per i nostri peccati e che otteniamo indulgenza quando preghiamo. Con questo, ha anche chiamato fedele il Signore perché mantiene fede alla sua promessa di rimetterci i peccati. Colui infatti che ci ha insegnato a pregare per i debiti e le colpe, ha promesso la sua paterna misericordia e il suo perdono.



Responsorio: (Sal 30, 2. 4; 24, 18)

In te spero, Signore, mai sarò deluso. Tu sei mia roccia e mio baluardo: per il tuo nome dirigi i miei passi.
Vedi la mia miseria e la mia pena, perdona tutti i miei peccati;
per il tuo nome dirigi i miei passi.



Orazione:

Dio onnipotente ed eterno, guarda benigno i popoli ancora immersi nell'ombra della morte, fa' risplendere su di essi il sole di giustizia, che ci ha visitato sorgendo dall'alto, Gesù Cristo nostro Signore. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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20/06/2008 07:05

Undecima settimana del Tempo Ordinario - Giovedì


Lettura:

Dal trattato « Sul Padre nostro » di san Cipriano, vescovo e martire


Noi che siamo figli di Dio,
rimaniamo nella pace di Dio


Cristo vuole che noi chiediamo a Dio il perdono dei nostri peccati, ma ha condizionato il perdono divino al condono dei debiti che gli altri hanno con noi. Dobbiamo dunque ricordare che non è possibile ottenere ciò che chiediamo per i nostri peccati, se anche noi non avremo fatto altrettanto verso chi ha peccato contro di noi. Per questo in un passo del vangelo si dice: Con la stessa misura con la quale avrete misurato, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 7, 22). Quel servo che, pur avendo avuto il condono di tutto il suo debito dal padrone, non volle usare la medesima bontà con il servo suo compagno, venne chiuso in prigione. Non volle essere indulgente col suo compagno di servitù, e perse ciò che gli era stato regalato dal padrone.
Questo dovere viene ribadito fortemente da Cristo e confermato con tutto il peso della sua autorità. Egli dice: « Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli, perdoni a voi i vostri peccati » (Mc 11, 25). Nessuna scusa ti rimarrà nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo il criterio che tu stesso hai usato con gli altri e ciò che avrai fatto agli altri lo riceverai a tua volta. Dio infatti ha prescritto che siamo operatori di pace, concordi e unanimi nella sua casa. Quali ci fece con la seconda nascita, tali egli vuole che perseveriamo, cioè nella condizione di rinati. Se siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio, e coloro che hanno un solo spirito, abbiano pure un'unica anima ed un unico sentimento. Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di ritornare indietro dall'altare e di riconciliarsi prima col fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato dall'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Anche nei sacrifici che per primi Abele e Caino offrirono, Dio non guardava ai loro doni, ma ai loro cuori, sicché nell'offerta gli era accetto chi gli era gradito nel cuore. Abele, uomo di pace e di giustizia, offre un sacrificio a Dio nell'innocenza, e così insegna che anche gli altri quando fanno un'offerta all'altare, devono accostarsi con il timore di Dio, con il cuore semplice, con la legge della giustizia, con la pace e la concordia. Abele è tale nel sacrificio che offre a Dio, in seguito si è fatto egli stesso sacrificio a Dio. In tal modo divenuto il primo dei martiri, poté iniziare, con la gloria del suo sangue la passione del Signore, perché aveva posseduto la giustizia e la pace del Signore. Solo coloro che agiranno così saranno coronati dal Signore. Solo costoro nel giorno del giudizio condivideranno la gloria del Signore.
Al contrario chi vive in discordia, chi è in disunione e non ha pace con i fratelli, secondo quanto attestano il beato Apostolo e la Sacra Scrittura, non potrà sfuggire alle pene riservate ai fautori della discordia fraterna, neppure se sarà ucciso per il nome di Cristo, poiché sta scritto: « Colui che odia il proprio fratello è omicida » (1 Gv 3, 15), e l'omicida non raggiunge il regno dei cieli e non vive con Dio. Non può essere con Cristo chi ha preferito essere imitatore di Giuda piuttosto che di Cristo.



Responsorio: (Cfr. Ef 4, 1. 3. 4; Rm 15, 5. 6)

Comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, conservate l'unità dello Spirito nel vincolo della pace. Una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati.
Dio vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, perché con un solo animo e una sola voce rendiate gloria a Dio.
Una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati.


Orazione:

O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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21/06/2008 07:30

Undecima settimana del Tempo Ordinario - Giovedì


Lettura:

Dal trattato « Sul Padre nostro » di san Cipriano, vescovo e martire


Bisogna pregare non soltanto con le parole,
ma anche con i fatti


Quale meraviglia, fratelli dilettissimi, se il « Padre nostro » è la preghiera che ci ha insegnato Dio? Egli col suo insegnamento ha compendiato ogni nostra preghiera in queste parole di salvezza. Questo era già stato predetto tramite il profeta Isaia, quando pieno di Spirito Santo aveva parlato della maestà e della misericordia di Dio e della parola che tutto contiene e tutto riassume in chiave di salvezza. Il profeta aveva anche affermato che Dio si sarebbe rivolto a tutta la terra con piccole frasi pregnanti. E, in effetti quando la Parola di Dio, cioè nostro Signore Gesù Cristo, venne a tutti gli uomini, e quando radunati insieme i dotti e gli ignoranti, ebbe divulgato a ogni sesso e a ogni età i precetti di salvezza, fece un grande compendio dei suoi precetti, perché la memoria dei discepoli non si affaticasse nella dottrina celeste, ma imparasse subito ciò che era necessario alla semplice fede. Così, insegnando che cosa sia la vita eterna, racchiuse con grande e divina brevità il mistero della vita, dicendo: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico e vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17, 3). Similmente, volendo stralciare dall'insieme della legge e dei profeti i precetti principali e fondamentali, disse: Ascolta, Israele: il Signore tuo Dio è l'unico Dio; e ancora: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. Questo è il primo precetto, e il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due precetti è racchiusa tutta la legge e i profeti (cfr. Mc 12, 29-31). E di nuovo: Tutti quei beni che volete che gli uomini facciano a voi, fateli anche voi a loro. Questa è infatti la legge e i profeti (cfr. Mt 7, 12).
Dio ci ha insegnato a pregare non solatanto a parole, ma anche con i fatti, pregando e supplicando egli stesso frequentemente e dimostrando con la testimonianza del suo esempio che cosa dobbiamo fare anche noi, come sta scritto: Egli poi si ritirò in luoghi deserti e pregò (cfr. Lc 5, 16); e ancora: Salì sul monte a pregare, e passò la notte nella preghiera a Dio (cfr. 6, 12).
Certo il Signore pregava e intercedeva non per sé - che cosa infatti deve domandare per sé un innocente? - ma per i nostri peccati. Lo dichiara egli stesso quando dice rivolto a Pietro: « Ecco, satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede » (Lc 22, 31-32). E dopo questo supplica il Padre per tutti, dicendo: « Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola » (Gv 17, 20-21).
Grande fu la bontà di Dio per la nostra salvezza, grande la sua misericordia! Egli non si accontentò di redimerci col suo sangue, ma in più volle ancora pregare per noi. E guardate quale fu il suo desiderio mentre pregava: che come il Padre e il Figlio sono una cosa sola, così anche noi rimaniamo nella stessa unità.



Responsorio: (Sal 24, 1-2. 5)

A te, Signore, innalzo l'anima mia; Dio mio, in te confido e non sarò confuso!
Guidami nella tua verità e istruiscimi; sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato.
Dio mio, in te confido e non sarò confuso!


Orazione:

O Dio nostro, principio e sorgente della salvezza, fa' che tutta la nostra vita sia una testimonianza del tuo amore, perché possiamo un giorno cantare la tua lode nell'assemblea festosa dei santi. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.






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22/06/2008 05:29

Dodicesima Domenica del Tempo Ordinario


Lettura:

Dal trattato « Sulla Trinità » di Faustino Luciferiano, sacerdote


Cristo re e sacerdote in eterno


Il nostro Salvatore divenne veramente « cristo » secondo la carne e nello stesso tempo vero re e vero sacerdote. Egli è l'una e l'altra cosa insieme, perché nulla manchi al Salvatore di quanto aveva come Dio.
Egli stesso afferma la sua dignità regale, quando dice: Io sono stato consacrato re da lui sul suo santo monte Sion (cfr. Sal 2, 6). Il Padre inoltre attesta la dignità sacerdotale del Figlio con le parole: « Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek » (Sal 109, 4).
Nell'antica legge il primo ad essere consacrato sacerdote col crisma dell'unzione fu Aronne. Non si dice però « secondo l'ordine di Aronne », perché non si creda che anche il sacerdozio del Salvatore gli sia stato conferito per successione. Il sacerdozio di Aronne si trasmetteva per via ereditaria, non così invece quello del Cristo, perché egli stesso resta eternamente sacerdote. Si dice infatti: « Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedek ».
Il Salvatore dunque, secondo la carne, è re e sacerdote. L'unzione però da lui ricevuta non è materiale, ma spirituale. Infatti coloro che presso gli Israeliti erano consacrati re e sacerdoti con l'unzione materiale dell'olio, diventavano re e sacerdoti, non però tutte e due le cose insieme, ma ciascuno di loro era o re o sacerdote. Solo a Cristo compete la perfezione e la pienezza in tutto, poiché era venuto ad adempiere la legge.
Quantunque tuttavia nessuno di loro fosse re e sacerdote insieme, quelli che erano consacrati con l'unzione materiale, o re o sacerdoti, erano chiamati « cristi ». Il Salvatore però, che è il vero Cristo, fu unto dallo Spirito Santo, perché si adempisse quanto era stato scritto di lui: Per questo « Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia a preferenza dei tuoi eguali » (Sal 44, 8).
La sua unzione eccelle al di sopra di quella di tutti i suoi compagni perché egli è stato unto con l'olio di letizia che altro non significa se non lo Spirito Santo.
Che questo sia vero lo sappiamo dallo stesso Salvatore, il quale, preso il libro di Isaia ed avendovi letto: « Lo Spirito deel Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione » (Lc 4, 18), proclamò davanti a quelli che lo ascoltavano che la profezia si era adempiuta allora nella sua persona.
Anche Pietro, principe degli apostoli, dichiara che quel crisma, da cui il Salvatore è stato manifestato, è lo Spirito Santo, cioè la stessa potenza di Dio, quando negli Atti degli Apostoli tra le altre cose dice al centurione Cornelio, uomo pieno di fede e di misericordia: « Incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni, Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo » (At 10, 37-38).
Anche Pietro, dunque, come hai potuto renderti conto, afferma che Gesù uomo è stato unto di Spirito Santo e di potenza. E' vero perciò che lo stesso Gesù è diventato « cristo » in quanto uomo, perché con l'unzione dello Spirito Santo è stato consacrato re e sacerdote in eterno.



Responsorio:

Contemplate la gloria del Signore: egli entra nel mondo per salvare i popoli. E' il re della giustizia: il suo regno non avrà fine.
Gesù è entrato per noi come precursore, divenuto sommo sacerdote per sempre al modo di Melchisedek.
E' il re della giustizia: il suo regno non avrà fine.


Orazione:

Dona al tuo popolo, o Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell'amore per il tuo santo nome, poiché tu non privi mai della tua guida coloro che hai stabilito sulla salda roccia del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.






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23/06/2008 06:56

Dodicesima settimana del Tempo Ordinario - Lunedì


Lettura:

Dal trattato « L'ideale perfetto del cristiano » di san Gregorio di Nissa, vescovo


Il cristiano è un altro Cristo


Paolo ha conosciuto chi è Cristo molto più a fondo di tutti e con la sua condotta ha detto chiaramente come deve essere colui che da Cristo ha preso il suo nome. Lo ha imitato con tanta accuratezza da mostrare chiaramente in se stesso i lineamenti di Cristo e trasformare i sentimenti del proprio cuore in quelli del cuore di Cristo, tanto da non sembrare più lui a parlare. Paolo parlava, ma era Cristo che parlava in lui. Sentiamo dalla sua stessa bocca come avesse chiara coscienza di questa sua prerogativa: Voi volete una prova di colui che parla in me, Cristo (cfr. 2 Cor 13, 3) e ancora: « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal 2, 20).
Egli ci ha mostrato quale forza abbia questo nome di Cristo, quando ha detto che è la forza e la sapienza di Dio, quando lo ha chiamato pace e luce inaccessibile, nella quale abita Dio, espiazione e redenzione, e grande sacerdote, e Pasqua, e propiziazione delle anime, splendore della gloria e immagine della sostanza divina, creatore dei secoli, cibo e bevanda spirituale, pietra e acqua, fondamento della fede, pietra angolare, immagine del Dio invisibile, e sommo Dio, capo del corpo della Chiesa, principio della nuova creazione, primizia di coloro che si sono addormentati, esemplare dei risorti e primogenito fra molti fratelli, mediatore tra Dio e gli uomini. Figlio unigenito coronato di onore e di gloria, signore della gloria e principio di ogni cosa, re di giustizia, e inoltre re della pace, re di tutti i re, che ha il possesso di un regno non limitato da alcun confine.
Lo ha designato con queste e simili denominazioni, tanto numerose che non è facile contarle. Se tutte queste espressioni si raffrontassero fra loro e si cogliesse il significato di ognuna di esse ci mostrerebbero la forza mirabile del nome di Cristo e della sua maestà, che non può essere spiegata con parole. Ci svelerebbero però solo quanto può essere compreso dal nostro cuore e dalla nostra intelligenza.
La bontà del Signore nostro, dunque, ci ha resi partecipi di questo nome che è il primo e pià grande e più divino fra tutti, e noi, fregiati del nome di Cristo, ci diciamo « cristiani ». Ne consegue necessariamente che tutti i concetti compresi in questo vocabolo, si possono ugualmente vedere espressi in qualche modo nel nome che portiamo noi. E perché allora non sembri che ci chiamiamo falsamente « cristiani » è necessario che la nostra vita ne offra conferma e testimonianza.



Responsorio: (Sal 5, 12; cfr. 88, 16-17)

Quelli che sperano in te, Signore, esultino senza fine. In te si allieteranno quanti amano il tuo nome.
Camminano, Signore, alla luce del tuo volto: sono sempre nella gioia.
In te si allieteranno quanti amano il tuo nome.



Orazione:

Dona al tuo popolo, o Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell'amore per il tuo santo nome, poiché tu non privi mai della tua guida coloro che hai stabilito sulla salda roccia del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.






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24/06/2008 07:46

Dodicesima settimana del Tempo Ordinario - Martedì


Lettura:

Dal trattato « L'ideale perfetto del cristiano » di san Gregorio di Nissa, vescovo


Manifestiamo Cristo in tutta la nostra vita


Tre sono gli elementi che manifestano e distinguono la vita del cristiano: l'azione, la parola e il pensiero. Primo fra questi è il pensiero, al secondo posto viene la parola che dischiude e manifesta con vocaboli ciò che è stato concepito col pensiero. Dopo, in terzo luogo, si colloca l'azione, che traduce nei fatti quello che è stato pensato.
Se perciò una qualunque delle molte cose possibili ci porta naturalmente o a pensare o a parlare o ad agire, è necessario che ogni nostro detto o fatto o pensiero sia indirizzato e regolato da quelle norme con le quali Cristo si è manifestato, in modo che non pensiamo, né diciamo, né facciamo nulla che possa allontanarci da quanto ci indica quella norma sublime.
E che altro, dunque, dovrebbe fare colui che è stato reso degno del grande nome di Cristo, se non esplorare diligentemente ogni suo pensiero, parola e azione, e vedere se ognuno di essi tenda a Cristo oppure se ne allontani?
In molti modi si può fare questo importante esame. Infatti tutto ciò che si fa o si pensa o si dice, sotto la spinta di qualche mala passione, questo non si accorda affatto con Cristo, ma porta piuttosto il marchio e l'impronta del nemico, il quale mescola alla perla preziosa del cuore, il fango di vili cupidigie per appannare e deformare il limpido splendore della perla.
Ciò che invece è libero e puro da ogni sordida voglia, questo è certamente indirizzato all'autore e principe della pace, Cristo. Chi attinge e deriva da lui, come da una sorgente pura e incorrotta, i sentimenti e gli affetti del suo cuore, presenterà, con il suo principio e la sua origine, tale somiglianza quale può aver con la sua sorgente l'acqua, che scorre nel ruscello o brilla nell'anfora.
Infatti la purezza che è in Cristo e quella che è nei nostri cuori è la stessa. Ma quella di Cristo si identifica con la sorgente, la nostra invece promana da lui e scorre in noi, trascinando con sé per la via la bellezza e l'onestà dei pensieri, in modo che appaia una certa coerenza ed armonia fra l'uomo interiore e quello esteriore, dal momento che i pensieri e i sentimenti che provengono da Cristo, regolano la vita e la guidano nell'ordine e nella santità.
In questo dunque, a mio giudizio, sta la perfezione della vita cristiana, nella piena assimilazione e nella concreta realizzazione di tutti i titoli espressi dal nome di Cristo, sia nell'ambito interiore del cuore, come in quello esterno della parola e dell'azione.



Responsorio: (Col 3, 17; Rm 14, 7)

Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù.
Nessuno di noi vive per se stesso, nessuno muore per se stesso:
tutto si compia nel nome del Signore Gesù.



Orazione:

Accresci in noi, o Dio, il dono della fede, perché sia perfetta la nostra lode e porti alla tua Chiesa frutti di vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.





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25/06/2008 05:38

Dodicesima settimana del Tempo Ordinario - Mercoledì


Lettura:

Dal trattato « L'amicizia spirituale » del beato Aelredo, abate


La vera, perfetta ed eterna amicizia


Quel nobilissimo fra i giovani, Giònata, non badando al blasone regale, né alla successione del regno, strinse amicizia con Davide e, mettendo sullo stesso piano dell'amore il servo al suo sovrano, preferì a se stesso lui, scacciato dal padre, latitante nel deserto, condannato a morte, destinato ad essere trucidato, a tal punto che, umiliando se stesso ed esaltando l'altro, gli disse: Tu sarai re e io sarò secondo dopo di te (cfr 1 Sam 23, 17).
O specchio grande e sublime di vera amicizia! Mirabile cosa! Il re era furibondo contro il servo e gli eccitava contro, come ad un emulo del regno, tutta la nazione. Accusando i sacerdoti di tradimento, li fa ammazzare per un solo sospetto. S'aggira per boschi, s'inoltra in vallate, attraversa montagne e dirupi con bande armate. Tutti promettono di farsi vendicatori dell'indignazione del re. Solo Giònata, che unico avrebbe potuto, a maggior diritto, portargli invidia, ritenne di doversi opporre al re, di favorire l'amico, di dargli consiglio tra tante avversità e, preferendo l'amicizia al regno, dice: Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te.
Ed osserva come il padre del giovanetto ne eccitasse la gelosia contro l'amico, insistendo con invettive, spaventandolo con le minacce di spogliarlo del regno, ricordandogli che sarebbe stato privato dell'onore.
Avendo infatti quegli pronunziato la sentenza di morte contro Davide, Giònata non abbandonò l'amico. Perché dovrà morire Davide? Cos'ha commesso, cos'ha fatto? Egli mise a repentaglio la sua vita ed abbatté il Filisteo e tu ne fosti felice. Perché dunque dovrebbe morire? (cfr. 1 Sam 20, 32; 19, 3). A queste parole il re, montato in furia, cercò di trafiggere Giònata alla parete con la lancia e, aggiungendo invettive e minacce, gli fece questo oltraggio: Figlio di una donna di malaffare. Io so che tu lo ami per disonore tuo e vergogna della tua madre svergognata (cfr. 1 Sam 20, 30). Poi vomitò tutto il suo veleno sul volto del giovane, ma non trascurò le parole di incitamento alla sua ambizione, per fomentarne l'invidia e per suscitarne la gelosia e l'amarezza. Fino a quando vivrà il figlio di Iesse, disse, il tuo regno non avrà sicurezza (cfr. 1 Sam 20, 31). Chi non sarebbe rimasto scosso a queste parole, chi non si sarebbe acceso di odio? Non avrebbe forse ciò corroso, sminuito e cancellato qualsiasi amore, qualsiasi stima e amicizia? Invece quel giovane affezionatissimo, mantenendo i patti dell'amicizia, forte davanti alle minacce, paziente di fronte alle invettive, spregiando il regno per la fedeltà all'amico, dimentico della gloria, ma memore della stima, disse: Tu sarai re ed io sarò secondo dopo di te.
Questa è la vera, perfetta, salda ed eterna amicizia, che l'invidia non intacca, il sospetto non sminuisce, l'ambizione non riesce a rompere. Messa alla prova non vacillò, bersagliata non cadde, battuta in breccia da tanti insulti rimase inflessibile, provocata da tante ingiurie restò incrollabile. « Va', dunque, e fa' anche tu lo stesso » (Lc 10, 37).


Responsorio: (Cfr. Sir 6, 14. 17)

Un amico fedele è una protezione potente. Chi lo trova, trova un tesoro.
Chi teme il Signore, avrà buone amicizie; come uno è, così sarà il suo amico.
Chi lo trova, trova un tesoro.


Orazione:

Ricordati, o Dio, della tua alleanza, rinnovata sulla croce col sangue dell'Agnello, e fa' che il tuo popolo, libero da ogni colpa, progredisca sempre nella via della salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.




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26/06/2008 06:42

Dodicesima settimana del Tempo Ordinario - Giovedì


Lettura:

Dalle « Omelie » di san Gregorio di Nissa, vescovo


Dio è come una roccia inaccessibile


Quanto accade a coloro che dalla vetta di un'alta montagna guardano in basso un mare profondo e insondabile, avviene anche alla mia mente quando dall'altezza della parola del Signore, guardo la profondità di certi concetti.
In molte località marittime si può vedere, dalla parte rivolta al mare, un monte quasi spaccato a metà e corroso da cima a fondo. Esso ha nella parte più alta un picco che incombe sulla profondità del mare. Orbene l'impressione di chi volge giù lo sguardo sull'abisso impenetrabile da quell'altezza di vertigini è quella stessa mia quando spingo in basso gli occhi dall'altezza del misterioso detto del Signore: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5, 8).
Dio qui è proposto alla contemplazione di coloro che hanno purificato il loro cuore. Ma « Dio nessuno l'ha mai visto » (Gv 1, 18), come afferma il grande Giovanni. Paolo con la sua sublime intelligenza conferma e aggiunge: « Nessuno fra gli uomini lo ha mai visto, né lo può vedere » (1 Tm 6, 16). Questa è quella roccia liscia, sdrucciolevole e ripida, che non offre in se stessa alcun appoggio o sostegno per i concetti della nostra intelligenza. Anche Mosè nelle sue affermazioni l'ha detta impraticabile in modo che la nostra mente non vi può mai accedere, per quanto si sforzi di aggrapparsi a qualcosa e guadagnare la cima. C'è un detto che taglia a picco la nostra roccia: Non vi è nessuno che possa vedere Dio e vivere (cfr. Ef 33, 20).
Comprendi ora la vertigine della nostra intelligenza incombente sulla profondità degli argomenti trattati in questo discorso?
Ma vedere Dio costituisce la vita eterna. Se Dio è vita, chi non vede Dio non vede la vita.
A quali strettezze è mai ridotta la speranza degli uomini!
Il Signore però solleva e sostiene i cuori che vacillano, come ha agito con Pietro, che stava per annegare. Egli lo rimise nuovamente in piedi sull'acqua come su un pavimento solido e resistente.
Se trovandoci pencolanti sull'abisso di queste speculazioni si accosterà anche a noi la mano del Verbo, si poserà sull'intelligenza e ci farà vedere il vero significato delle cose, saremo allora liberi dal timore e seguiremo la sua via. Ma purché il nostro cuore sia puro. Dice, infatti: « Beati coloro che hanno un cuore puro, perché essi vedranno Dio ».



Responsorio: (Cfr. Gv 1, 18; Sal 144, 3)

Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lo ha rivelato.
Grande è il Signore e degno di lode; la sua grandezza non si può misurare:
il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lo ha rivelato.


Orazione:

Donaci, o Dio, una profonda conoscenza del tuo mistero di salvezza, perché senza timore, liberati dall'oppressione dei nostri nemici, ti serviamo in santità e giustizia tutti i nostri giorni. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.




_________Aurora Ageno___________
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Utente Gold
27/06/2008 06:36

Dodicesima settimana del Tempo Ordinario - Venerdì


Lettura:

Dalle « Omelie » di san Gregorio di Nissa, vescovo


La speranza di vedere Dio


La promessa di Dio è certamente tanto grande da superare l'estremo limite della felicità. Quale
altro bene infatti si può desiderare, quando tutto si ha in colui che si vede? Infatti vedere,
nell'uso della Scrittura, ha lo stesso significato che possedere, come quel detto: « Possa tu
vedere la prosperità di Gerusalemme » (Sal 127, 5), dove il verbo significa la stessa cosa, che «
che possa tu avere ». E così pure: Sia tolto di mezzo l'empio perché non vedrà la gloria del
Signore (cfr. Is 26, 10), dove il Profeta per « non vedere » intende « non essere partecipe ».
Quindi colui che vede Dio, per il fatto stesso che lo vede, ha ottenuto tutti i beni, una vita senza
fine, l'incorruttibilità eterna, la beatitudine immortale, un regno senza fine, una gioia perenne, la
vera luce, una voce spirituale e dolce, una gloria inaccessibile, una perpetua esultanza,
insomma ogni bene.
In verità quello che vien proposto alla speranza nella promessa della felicità, ha queste immense
proporzioni. Ma siccome è già stato prima dimostrato che il modo di vedere Dio si attua alla
condizione di avere il cuore puro, in questo nuovamente la mia intelligenza è preda delle
vertigini. La purità del cuore infatti non è forse fra quelle virtù che non si possono conseguire,
perché superano e oltrepassano la nostra natura? Se Dio si può vedere solo attraverso questa
lente di purità e se d'altro canto Mosè e Paolo non lo hanno veduto perché affermano che Dio
non può essere visto né da loro né da alcun altro, ciò che il Verbo propone alla beatitudine
sembra cosa né mai effettuata né effettuabile.
E quale vantaggio possiamo avere noi dal fatto di conoscere a quale condizione si possa vedere
Dio, se poi mancano le forze per raggiungere quanto si è scoperto? Sarebbe infatti come se si
dicesse che è cosa meravigliosa soggiornare in cielo perché là si vedono cose che qui sulla
terra non si possono vedere. Se con le parole si potesse dimostrare un qualche modo di attuare
un viaggio in cielo, allora sarebbe utile agli ascoltatori apprendere che è felicità grande abitare
in cielo. Ma sino a quando non potrà essere attuata questa ascesa al cielo, quale vantaggio può
dare la conoscenza della felicità celeste? Non costituisce piuttosto un tormento e una delusione,
perché ci rende consapevoli di quali beni siamo stati privati, per il fatto che ci è impedito di salire
al cielo? E perché allora il Signore ci esorta ad una cosa che supera la nostra natura e ci dà un
precetto che va oltre le forze umane?
Ma le cose non stanno così, perché egli non comanda di diventare uccelli a coloro ai quali non ha
fornito le ali, né di vivere sott'acqua a coloro per i quali ha stabilito una vita terrestre. Se dunque
la legge in tutti gli altri esseri è adatta alle forze di coloro che la ricevono e non costringe a
nessuna impresa che superi la natura, comprenderemo senz'altro anche questo dal fatto che è
compatibile con le nostre risorse e che non si deve disperare di raggiungere la felicità
promessa. Capiremo ancora che né Giovanni, né Paolo, né Mosè, né altri sono stati privati di
questa sublime felicità, che proviene dalla visione di Dio. Non colui che dice: « Mi resta solo la
corona di giustizia, che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà » (2 Tm 4, 8). Neppure colui
che posò il capo sul cuore di Gesù, o colui che udì dalla voce divina: « Ti ho conosciuto per nome
» (Es 33, 17).
Se perciò coloro che hanno affermato che la visione di Dio è sopra le nostre forze, sono
anch'essi beati, e se la beatitudine viene dalla visione di Dio, e se chi ha il cuore puro può vedere
Dio, certo la purezza, per mezzo della quale si può raggiungere la beatitudine, non è una virtù
impossibile.



Responsorio: (Cfr. Sal 62, 2; 16, 15)

O Dio, ha sete di te l'anima mia, a te anela la mia carne.
Nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua presenza:
a te anela la mia carne.


Orazione:

Concedi al tuo popolo, o Dio, l'abbondanza dei tuoi doni, perché sia sempre fedele agli impegni
del suo battesimo, e viva nella prosperità e nella pace in attesa della gioia eterna. Per il nostro
Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per
tutti i secoli dei secoli. Amen.




_________Aurora Ageno___________
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